Ci viene restituito un capolavoro

Ci viene restituito un capolavoro Ci viene restituito un capolavoro Basile in dialetto Giambattista Basile: « Lo cunto de li cunti. Le Muse napolitane e le lettere», a cura di Mario Petrini, Ed. Laterza, pag. 775, lire 20.000. Fino a ora quello che è il maggior libro di fiabe della nostra letteratura, Lo cunto de li cunti overo Lo trattenemiento de peccerille, composto da Giambattista Basile in dialetto napoletano e pubblicato per la prima volta in cinque volumetti separati, uno per ogni « giornata » in cui l'opera è divisa, fra il 1634 e il 1636, poteva essere letto soltanto nella molto nota e lodata traduzione in italiano del Croce, condotta sì con eleganza e con brio, ma anche con un discutibile criterio di attenuazione degli elementi più vistosamente barocchi e coloriti dello stile e dell'invenzione del Basile. De Lo cunto de li cunti e delle nove egloghe, sempre in dialetto napoletano, intitolate Le Muse napolitane, appare finalmente ora un'esemplare edizione a cura di Mario Petrini negli «Scrittori d'Italia» degli editori Laterza che permette di leggere le opere del Basile nella loro forma originaria con l'aiuto di un accuratissimo glossario. Le Muse napolitane hanno il sottotitolo di egloghe, ma soltanto in funzione parodica e comica. Nulla di pastorale è in esse, bensì vi sono rappresentate scene molto vivaci e animate di vita napoletana, dalla violenta rissa di sbruffoni alle vicende di un giovane innamorato di una prostituta, da un interno d'osteria dove si dà convegno la malavita a un matrimonio festoso, dalle liti delle comari per le strade alla passeggiata dei nuovi ricchi, occasione per ostentare ridicolmente lusso e superbia. Un moralismo di fondo, nostalgico di un mitico tempo antico, si unisce con un gusto alacre di bizzarre e ingegnose invenzioni verbali che si moltiplicano a contatto' con una realtà popolare fantasiosa e colorita. Molto più complesso è il mondo de Lo cunto de li cunti. Apparentemente, vi è rispettato lo schema del Decameron: c'è una cornice, che deve giustificare la narrazione delle fiabe, ci sono dieci narratrici che si alternano nel narrare le fiabe stesse. Ma 10 schema è profondamente tra sformato: la cornice stessa è una fiaba (e da questo fatto deriva il titolo dell'opera), che narra le disavventure della principessa Zoza, dapprima per la maledizione di una fata costretta a non poter sposare altri che 11 principe Tadeo, morto per un'altra maledizione, poi, dopo aver fatto resuscitare Tadeo con altri mezzi magici, soppiantata con l'inganno nell'amore del principe da una schiava, nella quale, incinta, Zoza fa sorgere l'irresistibile desiderio di ascoltare fiabe. Alla fine Zoza si sostituisce all'ultima novellatrice e racconta la propria vicenda, smaschera la schiava (che viene crudelmente messa a morte) e sposa finalmente Tadeo. Le dieci novellatrici, poi, sono quanto di più lontano può immaginarsi dall'eletta compagnia protagonista della cornice del Decameron. Si tratta di dieci vecchie, tutte designate con un difetto fisico fra il comico e il ripugnante. Zesa scioffata (sciancata), Cecca storta, Meneca vozzolosa (gozzuta). Tolla nasuta, Popa scartellata (gobba). Antonella vavosa (bavosa), Ciulla mossuta (musuta) Paola sgargiata (scerpellata) Ciommetella zellosa (tignosa), Iacova squacquarata (deforme). C'è, insomma, un calcolato cat povolgimento da parte del Basile delle strutture del Decameron in funzione di deformazione parodica, che perfettamente si accorda con la materia fiabescn. che, fondandosi sul costante intervento della magia e del meraviglioso in ciò che più ha di gratuito e di irrealistico, rappresenta un mondo dove la volontà, l'iniziativa, il coraggio, la virtù individuale, l'abilità, l'astuzia, non hanno più posto, e ha fortuna e successo non chi è più capace e più abile, ma chi la fortuna e il caso capricciosamente scelgono, per lo più, anzi, esaltando i meno intelligenti, i meno astuti, i più sciocchi. 11 mondo fiabesco del Basile è dominato dalla più completa casualità di una magia che gode nel privilegiare proprio chi si affida più passivamente a essa, non avendo, personalmente, nessuna iniziativa e nessuna capacità. I premi e le punizioni sono immotivati, irragionevoli, dettati unicamente dal capriccio. Ogni ordine mondano (giustizia, potere, lavoro, famiglia, ecc.) appare svuotato di significato e di forza. Su tutto domina il capriccio magico, che muta condizioni e fortune, situazioni e stati con una splendida casualità in una realtà in perpetuo, vorticoso movimento e trasformazione proprio perché nulla, in essa, è più di ordina¬ to e di certo, nessuna istituzione più vi regge davvero. In quest'assenza a cui corrispondono l'incapacità o la non volontà di agire da parte dei personaggi, la forza esterna, soprannaturale ma non religiosa, irresistibile della magia può operare pienamente, non per fondare un nuovo ordine, ma per portare alle ultime conseguenze l'instabilità del mondo, nella quale soltanto si giustifica l'anarchia degli interventi e delle operazioni magiche. Nelle egloghe che concludono le prime quattro delle cinque giornate di cui consta Lo cunto de li cunti (e che sono recitale, in omaggio all'intenzione parodica e carnevalesca che è dietro il progetto letterario del Basile, da sguatteri, servi e dispensieri) questa idea dell'anarchia del mondo in maschera acquista la forma della denuncia cosciente e ragionatamente sentenziosa. La fiaba del Basile è, appunto, il dominio dell'arbitrio: ma il mondo, ormai, non offre altro che immagini di arbitrio e di capovolgimento di ogni norma e legge. La fiaba non ne è che la colorita, fantasmagorica, esasperata allegoria. G. Bàrberi Squarotti

Persone citate: Ciulla, Giambattista Basile, Mario Petrini, Squarotti, Tadeo, Zesa

Luoghi citati: Italia