Gli errori banali di Panatta e Rocca causati da un cervello poco allenato di Giorgio Viglino

Gli errori banali di Panatta e Rocca causati da un cervello poco allenato SPORT CON O SENZA FATICA? Gli errori banali di Panatta e Rocca causati da un cervello poco allenato Fatica e allenamento. Il secondo serve a ridurre la prima, nel senso che aumenta il limite psicofisico, lo porta verso quello termo-dinamico e lascia più spazio per agire in stato di buona efficienza. L'allenamento siamo tutti portati a ricondurlo all'azione atletica, specifica e codificata in discipline di base come atletica, nuoto, sci da fondo. Nel calcio l'empirismo degli allenatori, l'impreparazione di quelli che pure passano per modernisti, è proprio dato dalla incapacità di trovare l'esercizio giusto per ottenere il fine voluto. Vediamo cosa si può allenare nell'uomo. I fattori genetici si dividono In chiusi e aperti; I primi sono quelli che sono, immodificabili, I secondi possono essere allenati, cioè può essere modificata la rapidità di trasformazione, I fattori fenotlci, cioè le masse muscolari, sono quelle direttamente interessate all'azione e quelle intuitivamente migliorabili. Infine c'è un allenamento corticale, proprio lo allenamento del cervello che può produrre effetti notevolissimi, cambiando totalmente il rendimento di un soggetto. Il problema vero è graduare l'allenamento e se relativamente facile può essere un certo tipo di schematizzazione quando si tratta di migliorare nei primi due casi, il problema diventa assai più arduo nei confronti del cervello. Si possono avere muscoli come botticelle, ma senza una coordinazione centrale, senza la regìa del cervello che ha funzioni collettivizzate e integrate non funziona nulla. Di qui la necessità di graduare l'allenamento per ciascun Individuo, adattamento che può avvenire sotto la guida di allenatori a livello di campioni, ma che ciascuno di noi può benissimo attuare da solo. Anzi l'atleta di grido cerca una partecipazione diretta nella preparazione, una scelta personale, ad eccezione forse soltanto del calciatore. Tre anni fa un'inchiesta condotta sul nostro giornale da Antonio Javarozzi riportava questa opinione del dottor Ouarenghi, medico sociale dell'Inter: « ... I calciatori si vergognano di far ginnastica, intere generazioni sono cresciute con questa mentalità. Ma ogni volta che vedo un calciatore fare ginnastica solo perché glielo impone l'allenatore, penso ai ragazzi dell'atletica che si preparano da soli a sedici anni, seguendo tabelle e nient'altro. Mi viene una rabbia... ». Un racconto di Arpino apre una raccolta dedicata da Garzanti alla narrativa sportiva che mi è capitata tra le mani. Al • Lottatore » fatto vero, descritto con lievità di tocco, segue più avanti « La moglie di Sta- 10 » di Donato Martucci. Al di là dell'impostazione politica un po' faziosa, colpisce la figura della lanciatrice di disco potenzialmente fortissima, ma debole psichicamente. Riporta al tema nostro, a quella fatica che può, anzi è spesso cerebrale, e all'allenamento di questa parte del fisico umano. Sempre Benzi dice che l'allenamento è equilibrato quando adatta II soggetto alle sensazioni periferiche e a quelle centrali. In altre parole c'è una soglia fisiologica della fatica che è in gran parte psichica. Limite eroico Facciamo un salto fuori dallo sport. La donna in certe tribù africane partorisce con assistenza ovviamente piuttosto empirica e, supponendo che vada bene — cioè che non si entri nella patologia — dopo tre ore da quando ha legato 11 cordone ombelicale ritorna a lavorare nei campi. La donna europea no. ed è ovviamente non una differenza di potenzialità fisica, ma una diversa motivazione psicologica. Sopportare lo sforzo fino al dolore è questione soltanto d'interpretazione: il ferito in guerra è contento d'avere una pallottola in una gamba perché così abbandonerà il fronte. Nello sport. E' Il 2 luglio 1974. Franco Arese arriva in rettilineo all'Arena e nello sforzo del finish ha un disinserimento del tendine, una delle lesioni più dolorose che possano capitare, ben oltre il limite di una trattura per Intenderci. Eppure continua zoppicante fino al traguardo per crollare subito dopo. La sua motivazione psicologica era tale da riuscire a fargli superare la sensazione di fatica e quella successiva di dolore. Al disotto del limite « eroico • rimangono gli stimoli usuali. Uno sforzo violento e breve produce un affaticamento centrale, è il cervello ad annebbiarsi come diclamo nel linguaggio comune. Riprendo da una cronaca di calcio: « ... Rocca partito dalla propria area comincia una galoppata travolgente, scarta due avversari, arriva in area e al momento del tiro Incespica quasi nel pallone mancando un'occasione favorevolissima. Anche Kawasaki non ha fiato inesauribilel ». // fiato ce l'ha, eccome, altrimenti il campo non lo volava seminando avversari che erano partiti da distanze minori. Piuttosto lo sforzo violento lo aveva ridotto in debito d'ossigeno e il cervello aveva ingarbugliato le carte al momento di impartire l'ordine per il tiro. Uno sforzo lungo, un lavoro aerobico, dà una fatica periferica ai muscoli impiegati nell'azione atletica, in parte minima al cervello. « Durante l'allenamento in pista, siano una o due ore, io ho sempre ripassato mentalmente i miei esami. A- desso magari penso ad altro, ho problemi da risolvere e me li studio mentre le gambe lavorano ». Questo è Pippo Cindolo insegnante di educazione fisica. Carlo Grippo studente in economia e commercio, con diversa specializzazione atletica: - Quando vado in pista anche per un allenamento, mi devo svuotare la testa da tutto, concentrarmi per fare sei "ripetute" sui trecento. Quando ho finito un allenamento specifico per gli 800 mi riesce difficile mettermi sui libri a pensare, almeno per un poco ». Poi Grippo che è un appassionato sostenitore della specialità che pratica non manca nella sua battuta polemica, pur se sorridente: « Gli ultimi quattrocento metri di pista, Il giro per il traguardo, lo fanno al termine dei diecimila metri nello stesso tempo nostro. Vuol dire che prima non si sono certo ammazzati ». Rosso in viso Panatta vince I due tornei di Roma e Parigi. Fa caldo, soprattutto al Roland Garros e Adriano appare disfatto addirittura nelle fasi finali dei due match decisivi, quello dei quarti contro lo svedese Borg e quello di finale contro Solomon. Meno televìsto, il ragionier Nobiletti gioca la sua partita di • pallettaro ', diventa tutto rosso in viso per lo sforzo di assestare colpi modesti ad una palla che sembra animata da maligna volontà propria. Pur con la vora¬ gine di differenza tecnica, Panatta e il nostro eroe compiono errori tecnici inspiegabill al rispettivi livelli, proprio perché II cervello non smaltisce più il suo lavoro. Braccia e gambe rispondono con minor efficienza, ma è II cervello che non coordina più nulla. Bisogna allenarlo, migliorando da un lato la preparazione fisica, e dall'altro la concentrazione specifica. Opposto è II caso del nuotatore. Lo specialista di « delfino • ha un bel continuare a dettare stimoli dal cervello a muscoli affaticati: l'andatura scema e l'atleta sembra affondare nell'acqua, cozzare contro Il muro liquido senza più poterne venir fuori. Eppure mezz'ora dopo l'atleta è nuovamente pronto perché l'acido lattico accumulato nei muscoli è stato eliminato dalle fasce non impegnate nel lavoro specifico e diluito nelle molte che II lavoro l'hanno latto. DI qui la ripetizione di uno sforzo, che sembra madornale, due o tre volte In una giornata, lo stabilire record di passaggio su distanze più brevi — cosa impensabile nell'atletica — e chiudere magari con una bella staffetta. Del resto I canottieri non hanno anche loro un lavoro aerobico? Per più di metà della gara sicuramente, poi quando comincia l'accelerazione, quando II capovoga comincia a chiamare frequenze sempre più alte, l'ossigeno respirato non riesce più ad essere utilizzato e comincia Il calvario di quei rushes finali che vedono atleti stravolti rovesciarsi sulla barca In preda ad un autentico collasso da fatica. La motivazione non è più individuale, ma collettiva, e II campanello d'allarme del singolo viene superato dalla motivazione psicologica: non essere II primo a cedere. Il discorso continua poi sul ciclismo, su questo terribile Giro d'Italia, su queste sue fatiche, che poi terrìbili non sono. Certo l'impegno fisico c'è, ma basato su un lavoro di bassa potenza. Gli enzimi si adattano alla nuova situazione e poi possono lavorare indefinitamente. In ogni tappa i momenti di lavoro più Intensi sì possono ridurre a manciate di chilometri e man mano che le tappe passano, il fisico appare sempre più adattato alla condizione di lavoro e paradossalmente fatica di meno. Niente di eroico insomma a detta del biologo, proprio il contrario di quello che scriveva Emilio De Martino ai tempi delle aquile che spiccavano il volo e delle locomotive umane. Giorgio Viglino (3 - continua) Nel canottaggio Uno sforzo combinato e la necessità di resistere tutti (fino alla fine)

Luoghi citati: Arpino, Italia, Parigi, Roma