A bordate contro La Pira di Luca Giurato

A bordate contro La Pira IN GIRO PER COMIZI CON LA DEMOCRAZIA CRISTIANA A bordate contro La Pira Ivo Burini non perdona a Fanfani d'avergli preferito l'ex sindaco: "E' un integralista che pensa di realizzare le profezie di Fatima; s'illude sul pei " - Incontro a Salerno con il più moroteo degli italiani - Un tecnocrate contro l'eredità laurina (Dal nostro inviato speciale) Firenze, giugno. Quante anime e quanti volti ha questa de ormai alla vigilia del « bigday » elettorale? Sulle anime, il viaggiatore laico non si pronuncia. Sui volti, il discorso è complesso ma interessante. Dalla Valtellina al profondo Sud della Campania, c'è il de beato e il de inguaiato, c'è quello paracadutato e quello arrabbiato-amareggiato. Trentasei anni, bassino, capelli in via di estinzione, Luigi Del Pizzo è il de più beato. Non sempre, naturalmente; avrà i suoi guai anche lui. Ma nell'esistenza di insegnante di corsi professionali a Salerno e di collaboratore di un giornale, di scapolo che vive con papà e mamma, c'è un punto fermo, fondamentale. Questo punto si chiama Aldo Moro, del quale Luigi Del Pizzo sa tutto e approva tutto. « Ecco, guardi — mi dice con occhi che emanano devozione — questa stanza è il tempio della grande fede morotea». Alle pareti della sua cameretta, intorno al letto, 18 foto dì Aldo Moro, ripreso nelle circostanze più svariate: al congresso, al comizio, alla cerimonia. In alcune, dietro il primo piano del leader, c'è Luigi Del Pizzo il quale, manco a dirlo, conserva gelosamente, quasi fossero reliquie, tutto ciò che riguarda il suo idolo: discorsi, libri, giornali. « Sono dispiaciuto per la caduta del governo Moro » dice un annuncio pubblicato sulla terza pagina di un quotidiano il 10 gennaio '76. A commissionarlo, il giorno di Sant'Aldo (« una pura coincidenza») è stato il nostro Luigi, il quale mi mostra la fattura: 156.800 lire. « Il perché della mia devozione? — risponde sereno — E' cominciata da ragazzo. Studiavo Manzoni e pensavo a Moro. La stessa pacatezza, la stessa storicizzante tristezza. Comunque, Moro non è un pessimista». Sull'altarino Più che di devozione, questi sono tempi di contestazione. Non teme di destare perplessità o sarcasmo nella gente? «Non esiste solo il fascino - Berlinguer. Esiste anche il fascino - Moro. Manzoni ha inaugurato, nella storia della letteratura, una nuova era, quella del reale. Moro ha inaugurato, nella storia della politica italiana, l'era del centro-sinistra... una scelta reale ». Lasciamo Salerno per Sorrento, dove l'era del centrosinistra vero e proprio non è mai cominciata. E' appena finita, dopo 12 anni, l'era monarchico - fascista di Achille Lauro. Ennio Barbato, 38 anni, sindaco di una giunta a quattro aperta al pei, è il democristiano più inguaiato. Che effetto fa, con i malanni tradizionali che assillano tutti gli enti locali, ereditare anche quelli di una gestione borbonico-clientela- re? «E' una cosa spaventosa — dice Barbato —. Lauro era il tiranno buono, una cosa molto comoda per la gente... Costruire senza licenze, evadere la piccola tassa comunale, ricevere il sussidio personale, la licenza commerciale. Oppure... ». Guarda sconsolato uno dei bravi assessori presenti al nostro colloquio; firma un ricovero urgente in ospedale; poi continua: « Oppure... cose più importanti, come il famoso "dono" della scuola. Lauro ha avuto una contropartita precisa ma, agli occhi della gente, è stato un regalo. Valle a spiegare, queste cose! ». « Lauro — insiste il sindaco — ha creato una fuga continua dalle responsabilità più palesi, elementari; il totale disimpegno di una classe dirigente. Per me, oggi, il problema più grave è quello della partecipazione del cittadino alle responsabilità, far capire alla gente che non bisogna star lì, come condomini passivi in attesa della volontà dell'amministratore del condominio ». Il clientelismo, sia pure senza gli infami precedenti di marca laurina, è una delle piaghe più dure da sanare anche nel collegio senatoriale della Campania che la direzione de ha assegnato a Giovanni Grassini, ex di¬ rettore generale della « Gepi », la finanziaria pubblica di salvataggio delle industrie in crisi. Con Grassini, il partito ha «paracadutato » (l'espressione non è nostra, è dell'ex direttore) per l'Italia numerosi altri servitori dello Stato: da Stammati a Bonifacio, da Andreatta a Girotti. L'incontro con Grassini, al comitato de dove regna un trambusto incredibile in attesa dell'arrivo di Fanfani, è del tutto casuale. Perché questa scelta? « I tempi sono molto diffìcili — spiega Grassini appena riusciamo a ritagliarci un angolino un po' al riparo dal frenetico andirivieni di attivisti, simpatizzanti, candidati — Non si serve più uno Stato che crolla. Bisogna evitare che crolli e ricostruirlo ». In nome di Kant Non le sembra d'essere un po' presuntuoso? « La mia scelta sarebbe presuntuosa se fosse fatta individualmente; ma siamo un gruppo; quindi ha un qualche senso. Kantianamente da un lato, cristianamente dall'altro, ognuno deve fare quello che può per essere in pace con la propria coscienza ». Perché ha scelto la de? « Sono cattolico. Da giovane avevo fatto politica con la democrazia cristiana. Questo è un partito nel quale si può sperare di avere una certa operatività ». Il nostro angolino viene presto scoperto; Grassini, il volto nuovo della de campana, viene continuamente avvicinato e ossequiato: «auguroni al senatore »; «omaggissimi al professore». Lei è ligure di nascita, umbro di adozione. Come si trova da queste parti? « E' una esperienza umana straordinaria. Credo sia anche un grosso arricchimento, dopo 20 anni dietro una scrivania a vedere i problemi solo come numeri e cifre ». Lei è un tecnico, che tipo di discorsi fa agli elettori del suo collegio? « Faccio il professore d'università. Insegno economia politica ed industriale. Quindi ho una certa abitudine a parlare con semplicità. Cerco di essere ancora più semplice; la parte più interessante della campagna elettorale è il dialogo, con domanda e risposta. Io sottolineo come la politica sia l'elemento condizionante per fare una buona amministrazione ». Nel corridoio, la voce di Grassini è sempre più sovrastata da quella stentorea del capo della segreteria tecnica, Salvino Caramagna, e da quelle, sommesse ma sempre più numerose ed eccitate, degli attivisti. Fanfani è in ritardo e davanti a noi l'andirivieni è ormai una processione. Tra un ossequio e l'altro a Grassini ci scappano auguri e omaggi anche per me. Fervore ed entusiasmo devono aver preceduto gli arrivi di Fanfani anche in via Lamarmora 17, a dieci minuti di passeggiata da Piazza del Duomo, a Firenze. Ma in altri tempi. Oggi, tutto è cambiato, meglio, tutto è cambiato da quando il presidente della de (c'è chi dice con l'aiuto del Papa, più probabilmente da solo) ha deciso di togliere il professor Ivo Butini da capolista del partito alla Camera e infilare al suo posto l'ex sindaco santo, Giorgio La Pira. Butini, che resta dopo Fanfani il de più potente e influente di Toscana, sulle prime « non si è raccapezzato », come si dice da queste parti; poi ha ingoiato il rospo ma dall'ufficio studi di via Lamarmora spara palle di fuoco contro il nemico di sempre e nuovo capolista (La Pira) e contro l'ex amico di sempre e nuovo antagonista (Fanfani). Butini definisce la candidatura La Pira « un gran pasticcio ». « La Pira — insiste — parla per fissazioni. Ripete le cose che diceva 20 anni or sono. A volte rasenta la macchietta. Mi è sembrato una cosa crudele ributtarlo in poliica. Lui non ne aveva bisogno e chi ne aveva non ha avuto pietà. Non mi pare sia lecito strumentalizzare la gente sino a questo punto ». Professore, io La Pira l'ho incontrato e mi è sembrato tutt'altro che strumentalizzato. Comunque, non sta a me giudicare. Lei, però, oltre che molto arrabbiato, mi sembra profondamente amareggiato. « Certo, certo, che lo sono! —: replica di botto, drizzando il busto sulla sedia — ma, badi bene, questo non cambia la sostanza delle cose. La Pira è un cattolico integralista che crede alla supremazia della Chiesa nella vita anche sociale! Si pone come obbiettivo la profezia di Fatima: la conversione dei russi al cattolicesimo. E' un uomo chiuso a tutti i valori del mondo moderno. Affida alla Chiesa e al messaggio religioso quasi una funzione totalizzante ». Lo scatenato Professore, debbo confessarle che io delle profezie di Fatima so ben poco. Quanto alla chiusura ai valori del mondo moderno, come lei dice, qui in Toscana queste cose non si dicono di La Pira, ma della de che lei guida e rappresenta. « Lei era un ragazzo nel 1964 — scatta il Butini —. Segni ebbe la trombosi e ci fu il tentativo di portare Fanfani alla presidenza della Repubblica. L'operazione nacque a Firenze; fu La Pira a trattare con il pei ma i comunisti i voti non glieli hanno mai dati ». Eppure sono soprattutto i comunisti a parlarmi bene di La Pira... « Il pei è partito laico, che ha il senso delle concretezze storiche — continua imperterrito il Butini —; l'errore di fondo dei lapiriani è credere che il pei abbia una ispirazione di fondo cattolica». « Non è vero, non è vero — ripete il professore distillando vocali e consonanti —, il pei ha una tradizione laica! L'unico punto che io capisco in La Pira è il profetismo di Marx... I suoi amici parlano con gli Ingrao, con l'Adriana Seroni e si illudono... Ma il pei ha sempre scelto contro i lapiriani della de! Se qui ci fossero i musulmani, il pei farebbe un discorso con i musulmani! Se ci fossero i bantu, lo farebbe con i bantu ». Lei è sempre stato il proconsole di Fanfani in Toscana. Perché è stato mollato? Butini: « Son cose che non capisco bene neppure io! Il rinnovamento, gli uomini nuovi nella de? Ma mi faccia il piacere! E' minestra riscaldata. L'è " ribollita ", come si dice a Firenze». « Io — continua — credo che Fanfani non sia stato all'altezza della situazione. Non si possono fare i discorsi che fa a Grosseto e poi portare La Pira capolista. Mica siamo gattini ciechi! Ma a che gioco si gioca? Lo sanno o no che qui si gioca con il pei? Li conoscono i comunisti oppure vogliono scherzare, con le magie, contro una forza storica, della terra? ». Afa con Fanfani ha proprio rotto? « Lei — replica il professore calcando le parole — parla con un uomo che è rimasto amico di Fanfani e che è rimasto perplesso e sorpreso tra le parole e le opere. Che aspetta la verifica politica post-elettorale per fare le sue scelte all'interno della de. Spero di confermarle, se vuole la mia segreta ispirazione. Però, non più sulla fede; sull'esperienza ». Trovare La Pira e riferirgli, tra l'altro, i giudizi di Butini non è stato facile ma, alla fine, possibile: «Piccole cose — ha commentato l'ex sindaco alzando gli occhi al cielo —. Butini non ha avuto tempo di riflettere sulla città. Non conosce la vocazione di Firenze ». Trovare Fanfani è stato, almeno per ora, impossibile. Balza da un capo all'altro dell'Italia; quando lo credi a Salerno è già a Reggio Calabria. Quando sei convinto d'averlo finalmente bloccato a Benevento apprendi che da Cagliari, in aereo, s'è già spostato a Treviso, tra incidenti e implacabili contestazioni di extraparlamentari. Non c'è dubbio: se c'è il de beato, se c'è il de inguaiato, paracadutato e arrabbiato, c'è anche il de più scatenato. Luca Giurato Giorgio La Pira, ex sindaco di Firenze (Team)