Le due "scuole,, del Cremlino di fronte all'eurocomunismo di Paolo Galimberti

Le due "scuole,, del Cremlino di fronte all'eurocomunismo Giudizi divergenti di Suslov e Zagladin Le due "scuole,, del Cremlino di fronte all'eurocomunismo Secondo gli esperti francesi la " linea Berlinguer " e quella del pcf sono soltanto l'effetto d'un "declino irreversibile del mito sovietico" (Dal nostro inviato speciale) Parigi, 17 giugno. 1 dirigenti sovietici potrebbero, a buon diritto, imprecare contro la mala sorte. Proprio mentre stanno preparando una delicata operazione di trapianto interno (la successione di Leonid Breznev e, gradualmente, dell'intero gruppo di anziani garanti della stabilità della leadership), essi sono stati assaliti da tutta una serie di preoccupazioni impreviste e, in buona misura, imprevedibili: un disastro agricolo senza precedenti, che ha fatto fallire il nono piano economico quinquennale e ha provocato un forte indebitamento con l'estero (un miliardo 700 milioni di dollari nel primo trimestre del '76, il 20 per cento in più rispetto allo stesso periodo del 75); le difficoltà della distensione politica ed economica con l'Occidente, soprattutto con gli Stati Uniti; infine, la nascita del cosiddetto « eurocomunismo » nell'Europa occidentale. Gli esperti interrogati a Parigi non sono concordi nel valutare l'impatto che l'eurocomunismo può avere sulla politica sovietica, né sulla strategia che l'Urss potrebbe seguire per contrastarlo. Negli ambienti della diplomazia francese, ad esempio, l'opinione più diffusa è che il Cremlino non sia troppo allarmato, anche perché l'eurocomunismo è ancora un movimento in divenire, la cui gestione appare assai travagliata (come dimostrano le dichiarazioni di Georges Marchais alla stampa estera, dirette a ristabilire le distanze dal pei, sul piano politico-ideologico, soltanto una settimana dopo il comizio comune a Parigi). Mosca, dunque, non cercherebbe — per il momento — di reprimere direttamente la potenziale minaccia eurocomunista, bensì si limiterebbe a prendere alcune misure cautelative per evitare che la nascita d'una nuova polemica comunista nell'Europa sud-occidentale possa contagiare i Paesi dell'Europa orientale. L'attenzione che Mosca pone nel migliorare i rapporti con la Romania e la Jugoslavia (recentemente visitate da un alto messo del Cremlino, Konstantin Katushev) e la priorità accordata all'« internazionalismo proletario », inteso come solidarietà tra tutti i partiti comunisti al potere e no: questi sono i segni che l'Urss sta erigendo una barriera protettiva — politica, ideologica e anche economica — attorno al suo blocco europeo. Secondo André Fontaine, redattore capo del Monde e autore di un'apprezzata « Storia della guerra fredda », l'eurocomunismo è una bandiera fittizia, sotto la quale vengono artificialmente raggruppati partiti tra loro ben diversi, che non hanno legami né interessi comuni al di là d'una certa tendenza all'autonomia nei confronti di Mosca. « Oggi — dice Fontaine — non assistiamo affatto alla formazione d'un nuovo polo comunista in Europa. Piuttosto, osserviamo una progressiva riduzione del potere centripeto di Mosca, un declino irreversibile del mito sovietico su certi partiti. E questa disgregazione dell' "internazionalismo proletario" accentua le caratteristiche e le tradizioni nazionali dei partiti occidentali, sottolineandone, al tempo stesso, l'autonomia dal centro, cioè da Mosca ». Ecco, dunque, secondo Fontaine, il pei ritrovare quel «liberalismo radicale», che caratterizzò la sua lotta antifascista, e reinserirsi nella «continuità. italiana»: donde, «l'europeismo, lo spirito di tolleranza, il gusto del compromesso dei comunisti italiani». Dall'altra parte, invece, i comunisti francesi «ritrovano del tutto naturalmente gli accenti del giacobinismo, con il populismo, la gelosa passione dell'indipendenza nazionale, l'esigenza della libertà e la lotta contro gli usurpatori interni ed esterni». Anche per Michel Tatù l'eurocomunismo è ancora una categoria ideale, piuttosto che un movimento in atto; però, a suo avviso, Mosca, lo considera già una minaccia concreta e attuale. Tant'è vero — afferma Tatù, attento lettore della stampa sovietica — che, da diversi mesi ormai, nei giornali di Mosca e nei discorsi dei dirigenti sovietici affiora un dibattito su quale sia la tattica migliore per combatterlo o, quanto meno, per limitarne i danni nel movimento comunista europeo e internazionale. Secondo Tatù, tale dibattito si è condensato in due «scuole di pensiero». L'una, quella dogmatica e purista in senso marxista-leninista dei vecchi ideologi come Suslov o Ponomarev, ritiene che la crisi del capitalismo sia definitiva e che, dunque, il socialismo sia vinci- Paolo Galimberti (Continua a pagina 2 in quarta colonna)

Persone citate: André Fontaine, Berlinguer, Fontaine, Georges Marchais, Konstantin Katushev, Leonid Breznev, Michel Tatù, Ponomarev, Zagladin