Fanfani sfida pioggia e malasorte chiede voti, e non soltanto a destra di Franco Mimmi

Fanfani sfida pioggia e malasorte chiede voti, e non soltanto a destra A ritmo stroncante (per altri) la campagna del senatore Fanfani sfida pioggia e malasorte chiede voti, e non soltanto a destra Subito un pauroso incidente d'auto, la sera dopo ha parlato a Salerno - All'Aquila non lo hanno fermato i contrattempi a catena - Oscura cabala dei numeri per sollecitare voti (Dal nostro inviato speciale) L'Aquila, 5 giugno. Piccolo com'è, il senatore Amintore Fanfani ha energia e resistenza da vendere: esce incolume da macchine distrutte; riceve sulla testa l'asta di una bandiera tricolore e si libera imperturbabile del drappo che lo avviluppa; affronta un temporale wagneriano sbagliando, per il troppo correre, l'uscita dall'autostrada; aspetta impavido che l'impianto microfonico della sala in cui il diluvio l'ha ridotto venga ripristinato. E il giorno dopo? Check up? Emicrania? Relax? Niente: si riparte per altri lidi, altri comizi, altri rischi. Era una delle tante stroncanti (per altri) giornate elettorali di Fanfani. Gli altoparlanti e i manifesti annunciavano per le vie dell'Aquila il comizio del senatore, ore 19,30, in piazza Duomo. Già il palco era stato eretto, i drappi avevano ricoperto l'intelaiatura metallica, l'area chiusa al traffico. Che momento per un fortunale. Sotto la pioggia partivano l'onorevole Natali e il candidato onorevole Presutti. Al casello si attende. Invano. Onorevoli e carabinieri vanno e vengono cercando risposte all'interrogativo: ma dov'è? Si decide di tornare. Si decide, se mai si ritrovi il senatore scomparso, di farlo parlare al coperto, all'Accademia Bernardiniana. Si decide di recarsi colà, perché l'ultima voce avverte che l'auto di Fanfani, lanciata come al solito a velocità folle, sorpassando una vettura ha mancato l'uscita, ha imboccato quella successiva, ha già scaricato il passeggero al nuovo luogo di convegno. Si va, e il senatore è infatti sul posto col solito cappelluccio a tesa spavalda. Si prende posto nella sala che subito è zeppa di chissà quanti, certo un paio di migliaia, altri si accalcano fuori sotto gli altoparlanti. Si fuma ignorando i divieti che cercano di proteggere gli antichi splendidi affreschi, Fanfani è seduto sotto un'Ultima Cena, ha di faccia un Gesù che lava i piedi a Pietro. Grandi applausi. Viva Fanfani grida uno, e gli altri viva Fanfani. E' qui che una bandiera italiana lascia spontaneamente il suo appoggio e crolla sul capo del senatore. Veloce, egli si libera dal viluppo, manca persino il tempo per il panico. Silenzio, tempo di parole: il segretario provinciale de, Gandieri, saluta l'ospite. Ricorda un'altra sua venuta, nel '61, quando Fanfani inaugurò 58 appartamenti dell'Incis. Fanfani se ne ricorda benissimo, tanto che continua a parlare con un signore di una televisione straniera. Gandieri dice che sa Fanfani capace di pagare di persona «per gli errori, ma furono veramente errori?, che comunque Ella non commise da solo!». L'interpellato non ha un'espressione particolarmente soddisfatta. Gli si lascia la parola. Qui si alzerebbe Fanfani, se servisse. Ma non serve, perché la calca che continua a passare dietro il palco ha fatto fuori il sistema di altoparlanti. L'onorevole Natali grida che si vada a prendere quello a pile che ha lui in macchina, qualcuno esegue, qualcuno aggiusta, poi tutto funziona sia pure in modo alterno, sicché nel gioco dei microfoni la voce dell'oratore è ora piena ora metallica. Ma si sente, e Fanfani apre pregando i fotografi e gli operatori 1 delle varie tv di tirarsi da j parte, «perché i nostri amici aquilani vogliono non solo sentire ma anche vedere. Sono mesi — dice Fanfani paterno — che sentono dire che il loro amico è invecchiato, e vogliono vedere se è vero». Figurarsi l'urlo del no. Del ristabilito silenzio, Fanfani approfitta per stupire e deludere un po'. «Sono contento di non essere in piazza — avverte — per poter parla- re non in termini comiziali ma in tono di sereno ragiona j mento». E il senatore si butta in una serie di numeri, proie- zioni, previsioni che neanche l'Istat. « Il 15 giugno — dice — il pei ha avuto 32 voti. Se ora aumenta di tre-quattro voti scavalca la de». E poi: «Pei e psi insieme hanno avuto 44 voti. Se il 20 giugno aggiungono quattro o cinque vo- ti, raggiungono la maggioranza assoluta». Di qui in avanti, Fanfani spiega infatti che i calcoli del Parlamento sono da rifare. Vi sono, egli dice, i sette voti missini, ogni cento, che sono «autosterilizzantisi», perché da tutti rifiutati e quindi «inutilizzabili» (ma par di ricordare che in qualche occasione servirono). Perciò, i conti vanno rifatti su base 93 (cento meno sette) e così si dimostra come, in rapporto allo schieramento costituzionale, i voti comunisti e socialisti, se aumenteranno di quei quattro o cinque, varranno pressoché la maggioranza. L'ipotesi alternativa, spiega il senatore, è che «quanti votarono per l'estrema destra riflettano sul loro voto e decidano di passare alla de o a un altro dei partiti democratici». Infatti, la proporzione su base 93 vale anche per il gruppo de, pri, psdi e pli, al quale basterebbero un paio di transfughi dell'estrema destra per rintuzzare l'attacco di sinistra. Uscito dalla foresta di numeri, Fanfani si butta sui termini comizianti prima rifiutati e accenna al suo contestato discorso di Grosseto. «Da mercoledì mi si domanda: è vero che lei ha detto che bisogna levare la libertà ai comu¬ nisti? No, non l'ho detto. Ho detto una cosa più generale e più specifica. Ho detto che troppe volte le forze democratiche hanno lasciato troppa libertà ai violenti e ai prepotenti, che ne hanno fatto uso per levarla ai loro concittadini ». Ora picchia spesso sul tavolo, e spesso urla, e spesso fa del sarcasmo, e sulla violenza dice che a Roma, alla borgata San Basilio, lo hanno accolto a sassate e la parola più pulita che avevano scritto sui muri, «non mi vergogno a ripeterlo, era vaffanculo. Ma non lo dico per me, ma perché vi vedo un tentativo di togliere la libertà». E' un subisso. Ma Fanfani si districa, avverte che deve correre a Chieti, per parlare anche là, per non far torto a Gaspari visto che ora ha parlato in terra di Natali. Parte e sfreccia, mancano dieci alle nove, alle nove dovrebbe essere sul posto. Impossibile. «Impossibile? — dice Natali — lei non conosce gli autisti di Fanfani». Infatti è solo al ritorno verso Roma, quando potrebbe andarsene più tran quillo, che va fuori strada. La sera dopo è già a Salerno, dove spiegherà che non sono solo i voti della destra che chiede, ma quelli di tutte le persone di buona volontà. Franco Mimmi

Luoghi citati: Chieti, Grosseto, L'aquila, Roma, Salerno, San Basilio