I semi dell'umorismo di Luca Goldoni

I semi dell'umorismo Sembrano nascere nuovi talenti I semi dell'umorismo Luca Goldoni: « Di' che ti mando io », Ed. Mondadori, pag. 214, L. 3500. Paolo Lingua: « Assessore di denari », Ed. Rusconi, pag. 159, L. 3800. Paolo Villaggio: « Le lettere di Fantozzi », Ed. Rizzoli, pag. 135, L. 2800. Se la satira in Italia è alle corde, perché corre parallela a una realtà che è già grottesca, già satirica, l'umorismo sembra che incontri nuovi talenti e acquisti nuovi lettori, perché la sua sostanza è più frigida e più elaborata, e più alta dei fatti, li sorvola di una spanna. L'arma degli umoristi italiani, quelli affermati e quelli nuovi, sta nello stile, cioè nella reinvenzione dei fatti secondo una meccanica spostata, tale da accendere il sorriso e la liberazione. Prendiamo Luca Goldoni. Ogni suo libro raccoglie un mosaico di osservazioni apparentemente slegate, una conversazione ininterrotta che afferra ghiottamente gli episodi grandi e piccoli della cronaca. E' un « vedete come siamo », un lieve rovesciamento dei luoghi comuni che pure ha una capacità derisoria irresistibile. I libri di Goldoni hanno successo di pubblico non per ragioni moralistiche (l'autore non amerebbe essere ascrìtto a questa categorìa), ma segretamente stilistiche. Lui confessa che ogni frase gli costa una grande fatica: è la fatica che trasforma le piccole cose in segni di riconoscimento, in trappole umorìstiche. Prendiamo Paolo Villaggio. Ha fatto accettare al pubblico, con naturale improntitudine, armi non consuete, spesso malviste: l'iperbole, l'esagerazione, il surreale impiegatizio. Dopo i primi libri, si capisce che il suo manierismo rappresenta qualche cosa, appaga e frusta il pubblico. Perfino le Lettere (apparse « solo per avidità dell'editore ») confermano, con il successo nelle classifiche di vendita che la provocazione goliardica del Villaggio « scrittore » è un fatto compiuto, una nuova dimensione del parlato. E resta in secondo piano la difficoltà di trasformare, nelle vicende epistolari, un personaggio « fascista » come Fantozzi in propagandista democratico. Tra esagerazione e stile, tra Goldoni e Villaggio, cho fanno i nuovi umoristi italiani? Il Benni (Bar sport, Mondadori) sembra incline a un tipo di paradosso meccanico, corretto da qualche finezza alla Goldoni; Giancarlo Ravazzin (l\ condominio, Cappelli) è un ottimo commediante radiofonico, costretto a dare le sue trovate alla Radio Svizzera. Un caso a sé rappresenta il genovese Paolo Lingua, umorista controvoglia, dì na| tura poetica. Egli parte da un ' traliccio satirico, dalla realtà politica di Genova dopo le elezioni amministrative e lavora su due piani. Da un lato la « scaletta » dell'Assessore di denari è una bella trina ironica, raccolta nei succinti sommari preposti a ogni capitolo; dall'altro lato la scansione della storia in monologhi è un controcanto malinconico e sfatto agli eventi. La situazione risibile dì politici intriganti, diventa compassionevole; l'umorismo dell'autore diventa pietosa solidarietà, tra indiscriminata condanna e generale assoluzione. Il sorrìso, cioè, si trasforma in un atto solitario da consumare in poetico disdegno, in pigrizia, lontano da tutti. Anche questa solitudine dell'umorista è, singolarmente, un prodotto di tempi difficili che offrono, a Genova e altrove, esempi autonomamente grotteschi. Stefano Reggiani

Luoghi citati: Genova, Italia