De Martino, speranze socialiste di Furio Colombo

De Martino, speranze socialiste INTERVISTA CON IL SEGRETARIO DEL PARTITO De Martino, speranze socialiste Spiega la strada del psi dalla crisi al governo del dopo-elezioni - "Non abbiamo nessuna ortodossia alle spalle, nessun legame o impaccio internazionale, nessuna chiesa da cui prendere le distanze" - Il pei al governo "non è una condizione" mentre "è necessario che ne faccia parte la de" (Dal nostro inviato speciale) Bari, giugno. Domenica mattina, comizio al teatro cittadino. De Martino arriva come uno che vorrebbe essere a casa, la domenica mattina, paziente, tollerante di questa fatica. Lo aspetta un teatro pieno, famiglie, bambini, si suona e si canta l'Internazionale, ma nell'atmosfera di una festa domenicale. Non c'è neanche l'ombra della modernità un po' «americana» che adesso adottano i comunisti (gente seduta in piazza, candidati con fogli e penna per ascoltare e rispondere alle domande) né della tensione che spesso si sente, in questi giorni, intorno alle manifestazioni elettorali. Ma appena De Martino — il personaggio politico che, nelle fotografie dei settimanali, sembra il meno carismatico, il meno adatto alle folle — entra sul palco, si scatena un applauso lunghissimo, un gridare, un chiamare, un gettare garofani, De Martino risponde con un sorriso un po' imbarazzato. C'è una fisiologia delle manifestazioni dei socialisti che impedisce di usare la parola « ovazione ». Anche quanto tutti sono in piedi e gridano, c'è un disordine familiare, sì vede a occhio che nessuno controlla la sala, e che tutto viene come viene, con una certa allegria che contrasta con la cupezza della vita elettorale italiana. Vicini al leader Nel salone gremito si vedono facce contadine e operaie, molta gente giovane, molte donne. Se fossero fermi, in silenzio, potrebbero essere i personaggi di un quadro di Guttuso. Invece tutta la scena si muove e non risponde ad alcun rituale. Se tra le tante misurazioni politiche ci fosse anche questa, il rancore, forse si potrebbe dire che la folla socialista, almeno in pubblico, almeno nei comizi, è quella che dimostra meno rancore, meno fame di nemici da divorare, benché questo sia uno dei momenti più distruttivi della nostra storia sociale. Per esempio nella conversazione con De Martino, faccio un po' di fatica, anche con le domande meno cordiali, a incrinare il tono tranquillo che è la sua maschera ma anche il suo carattere. E tutto si svolge come se discutessimo una tesi di laurea, difficile, rischiosa, ma niente affatto impossibile. «Basta applicarsi», come dicevano i professori una volta. E lo dice anche lui, adesso. De Martino, con quella sua aria di padre di famiglia lontano da casa, fa tre, quattro comizi in un giorno, quasi il doppio della celebrata infaticabilità dì Fanfani. Ma non sarà lui a dirlo, né la sua faccia a mostrarlo. In ogni città e cittadina prima o dopo il discorso siede a pranzo nel ristorante tipico, o si ritira per vedere « i compagni » nella saletta che gli hanno riservato. Ma il pai non è famoso per il suo servizio d'ordine. La gente viene, entra, esce, vuole parlargli, o almeno vederlo. E anche se sta lì solo due minuti, va via con l'idea che De Martino non abbia altro da fare che stare con loro. Non c'è un attimo di fretta o di falso dinamismo. Sorprende anche che dietro lo sguardo che sembra distratto e l'espressione un po' spaesata ci sia una memoria di ferro. Verso di loto (la base che va a visitare) per i nomi, le situazioni, i numeri, le scadenze, e magari un problema fastidioso depositato da anni. Verso di me, nella conversazione, per il più piccolo dettaglio, per la minima inesattezza, che lo fa scattare, preciso come se fosse a scuola. Avevo portato con me il programma elettorale del partito socialista, ma quando lo cito, per formulare una domanda, basta la variazione dì un aggettivo, il salto di una riga, magari per esprimere più in fretta il concetto, e subito viene la correzione, gentile ma fermissima: « Guardi che non c'è scritto... », indica il foglio che ho in mano io, come se fosse lui a leggerlo. Forse svela, appunto, l'abitudine all'insegnamento. Ma anche quel suo stare bene in guardia nonostante l'espressione pacifica. Devono essere due cose che piacciono molto alla gente, a giudicare dalle feste che gli fanno un po' dappertutto. Questa intervista è avvenuta in momenti diversi, seguendo il segretario del psi — con una certa fatica, devo dire — in una parte del suo fitto giro elettorale nel Sud. Posso riscriverla di seguito, come una conversazione filata, perché De Martino è uno che non dimentica mai il punto in cui era rimasto, non si distrae, non perde il filo e magari ritorna su un piccolo punto che gli sta a cuore, anche dopo mezza giornata. Troverete che alcune frasi o parole sono in un altro carattere: ho cercato di rappresentare così il cambiamento del tono di voce. In certi punti De Martino rallenta (anche il passo, se sta camminando) e detta. Chi ci guarda da lontano parlare, penserà che si conversi « del più o del meno ». In piedi, al ristorante, in macchina, circondato dai « suoi » di questo o quel posto, passeggiando, o aspettando nell'aeroporto, mostra una passione antica, meridionale, per la conversazione, la sua immagine pubblica è più introversa, più chiusa e laconica. Questa immagine non corrisponde ai suoi comizi, che hanno un inaspettato vigore e portano applausi a catena. O forse dipende dal fatto che alla sua gente De Martino va bene così, scarsamente retorico, senza frasi fatte, preciso, anche duro, ma senza rabbia, sempre pronto a spiegare, poco adatto alla predica, pochissimo alla celebrazione. — Ma i nomi nuovi, gli chiedo, dove sono i nomi nuovi nelle liste socialiste? « Ce ne sono, anche se noi non abbiamo fatto un gran chiasso su questo punto. E' dal 1972 che il movimento cattolico di Labor è con noi. Da quando è nato il fenomeno dei cattolici del dissenso il loro posto naturale è nel psi. Ma noi non sventoliamo bandiere perché non è il nostro stile, soprattutto nei problemi di scelta individuale e di coscienza. Nomi nuovi, poi, ne abbiamo dovun- que. Ma forse siamo i soli ad avere candidato donne per il Senato nel Sud. «E' vero che non siamo andati a caccia di indipendenti. Ma noi abbiamo uno spazio che per ora è tutt'altro che illimitato. Chiediamo voti per allargare il partito, ma non possiamo andare in giro a promettere posti in lista. Vorrei aggiungere una cosa. Per noi aprire è una parola fuori posto. Noi siamo sempre stati aperti, è la definizione del partito: uno spazio politico senza mura e senza ortodossie ». Larga coalizione — Voi dite nel programma che è necessaria la « fine del predominio democristiano ». Che cosa vuol dire? «Lo strapotere della de deriva dalla persuasione che niente sarebbe cambiato, mai. Questa persuasione ha stravolto un partito che ha le sue rispettabili radici e molta gente degna di stima, trasformandolo in un covo di Gava e uomini del genere. Bisogna dimostrare che tutto si può cambiare, in politica, anche per cambiare la de. Nessuno ha interesse a punire un partito popolare. Ma su di esso è cresciuto il tumore del potere inamovibile o almeno questa idea fissa. Invece niente è eterno, niente è sacro (parlo dei partiti) tutti i confini sono mobili e tutte le combinazioni devono essere possibili. Gli elettori lo capiranno ». — Non temete il pericolo di una nuova arroganza del potere, se dovesse esserci una affermazione delle sinistre? «Certo. Ma ci vogliono trentanni. Noi pensiamo a periodi di governo, o dì coalizione, di durata molto minore. Ma la nostra storia, la nostra tradizione (parlo del socialismo), dimostrano che arroganza e strapotere non sono di casa. Noi socialisti non abbiamo nessuna ortodossia alle spalle, nessuna finta fede in nome della quale giustificare i mezzi, nessun legame o impaccio internazionale, nessuna chiesa interna o esterna da cui prendere le distanze. Non abbiamo mai contato sul potere per definirci, come militanti e come partito. Insomma i socialisti, soprattutto la base socialista, non sono "dorotei" e non possono diventarlo ». — Non ci può essere il pericolo di una nuova egemonia culturale e politica delle sinistre? «Ma la nostra proposta per un governo di larga coalizione mostra che cerchiamo un antidoto per l'egemonia e non la desideriamo. Al pei ci avvicina la condizione operaia. Ma se il pei si ponesse in una posizione egemone, troverebbe nel psi un'immagine autonoma, diversa, bene identificabile nel movimento operaio italiano. In ogni caso noi proponiamo una larga coalizione per un breve periodo ». — Molti dicono: ma se tutti vanno al governo chi fa l'opposizione? E può vivere un sistema democratico senza una solida opposizione? « Infatti ho detto: Un breve periodo. E' pericoloso per un sistema democratico sguarnire l'opposizione o lasciarla in mano ai resti di una destra battuta, frustrata, insignificante. Per questo noi non accettiamo il compromesso storico. E' un progetto che non ci dice chi fa l'opposizione nel Paese. Un Paese senza opposizione è un Paese zoppo anche se si allarga il consenso ». — Il psi, dice il programma e ha ripetuto lei più volte, si dichiara disponibile per varie costruzioni politiche, dopo le elezioni, eccetto il puro e semplice ritorno al centro-sinistra. Il pei invece rifiuta decisamente la possibilità di un appoggio esterno e si propone solo per il governo o per l'opposizione. Questo limita l'ampiezza del progetto socialista. « Suppongo che i comunisti vogliano dire anche loro che non accetterebbero un nuovo centro-sinistra. Ma il nostro discorso si capisce solo svolgendolo in positivo. Noi non abbiamo niente contro la partecipazione al governo del pei. Questa però non è una condizione. La condizione è che non ci siano governi teologicamente chiusi a sinistra ». — Ma i comunisti dicono « o governo o niente ». « In periodo elettorale è comprensibile. Ma un simile rigore è in contrasto con la naturale capacità del pei di prendere atto di situazioni nuove o diverse. In altre parole: Siamo tutti in attesa del voto». — Quanto conta, per il psi, il quadro internazionale e le voci che da esso sono venute sulla « questione italiana? ». « Ci importa molto. Sappiamo le ragioni che lo ispirano. Non si può, d'altra parte, ignorare ciò che vi è di naturale nei nostri mutamenti storici. Il periodo elettorale produce momenti più rigidi. Noi siamo in periodo elettorale. Ma anche gli americani. In futuro sono sicuro che ci sarà un rapporto più sciolto, più tipico della nostra ambientazione occidentale, che è basata sulla libertà, più comprensivo dei fatti nazionali italiani. Penso inoltre che il partito socialista debba essere considerato il garante dei nostri impegni internazionali. Credo che sia la risposta più leale che si può attendere da noi. Inoltre io vedo segnali incoraggianti affiorare dall'orizzonte politico e culturale americano». — Ma la diffidenza non riguarda il psi, riguarda il pei. «In Occidente deve farsi strada e anzi sta facendosi strada la convinzione del processo di autonomia del pei e degli altri partiti comunisti dell'Occidente rispetto ai Paesi e ai modelli dell'Est europeo. E' vero che si tratta di un processo incompleto. Ma dev'essere incoraggiato, non scoraggiato ». — Conviene, elettoralmente, al psi, farsi garante del pei? «Intanto si tratta di una questione morale, non elettorale. Noi diciamo quello che sinceramente crediamo, sia le persuasioni che i dubbi. E crediamo che ogni segno di accostamento all'area democratica debba essere accolto e incoraggiato. Fatti di queste dimensioni non si inventano, non si truccano, hanno motivazioni evidenti, grandi radici sociali e culturali, l'ambiente di questo Paese e della cultura europea. E poi il psi non si fa garante di niente, per quello che riguarda un altro partito. Cerchiamo di favorire un processo in atto in Occidente operando in modo critico per una finalità positiva che esige, intanto, di eliminare un muro di pregiudizi ». Il caso Soares — Molti dicono che il psi avrebbe dovuto seguire la strada di Soares. « La situazione portoghese era opposta a quella italiana. La politica dei comunisti portoghesi sarebbe da respingere duramente e subito. — Il psi pensa di guidare un governo? « Guidare un governo dipende dalla forza elettorale ». — E' desiderabile che in un nuovo governo la de non ci sia più? «No, il contrario. E' necessario che la de partecipi perché rappresenta un'area di consenso ». — Durante il centro-sinistra il pei è stato duro con il psi. E' restata traccia, secondo lei, di quel periodo difficile nel rapporto fra i due partiti? « Molte lotte, o almeno, molti intenti, sono stati comuni. Ma il prezzo per conquistare quello che è stato conquistato, da dentro, era solo nostro. Noi abbiamo più volte dimostrato ai comunisti che il prezzo da noi pagato a nome della sinistra j era eccessivo. Non era ragionevole chiederci di continuare a reggere tutto il peso da soli. Ma quando abbiamo rotto, molti ci hanno dedicato commenti seccati, come se avessimo lasciato cadere il vaso buono del salotto. Molti, anche da sinistra. Eppure il psi doveva difendere il suo nome e la sua immagine, non poteva pagare da solo per tutti ». —: Resta aperta la questione: il psi, partito di libertà e di tolleranza (come dice anche il programma elettorale del partito) non teme il possibile avvicinarsi dei modelli dell'Est europeo? «Inutile che le dica che da noi l'immagine dell'Est europeo è respinta completamente. Sarebbe strano, però, e culturalmente improprio, se non tenessimo conto della storia italiana, che vede la sinistra all'opposizione, nella lotta per la libertà e vede il pericolo per la libertà venire, regolarmente, da destra. Chi ci vuole aiutare a difendere la nostra libertà deve conoscere la nostra storia». — L'accostarsi a sinistra del psi può avere allarmato e disorientato quella parte del mondo produttivo e delle imprese che si era abituata a pensare al psi come a un ricambio possibile della de. Non crede? « Nel nostro programma abbiamo detto chiaro che vogliamo eliminare il clima di falsa protezione e di vera insicurezza che circonda le imprese. Ma il modello più negativo dell'incredibile politica economica della de alla quale intendiamo opporci è quello delle aziende a partecipazione statale. Esse sono state la palestra di una occupazione di partito e di correnti, di confusione distruttiva fra i partiti e lo Stato. Le finalità naturali delle aziende sono state schiacciate, sono nati uomini potenti capaci di sfidare il governo, si è creata una situazione neo-feudale. Ecco la descrizione di ciò che noi combattiamo ». — Del psi si continua a dire che mostra «ambiguità» o «incertezza» sulle questioni fondamentali, libertà, governo, piani per il futuro. « Tra quello che proponiamo e quello che abbiamo fatto non c'è alcuna deviazione. Solo una salita di tono e di attacco, resa necessaria dal dramma che stiamo vivendo. Noi proponiamo un problema di gestione socialista perché da essa dipende lo svolgersi di tutto il cambiamento possibile. Un'emarginazione socialista provocherebbe uno scontro muro contro muro. Oppure il compromesso storico. Due ipotesi di paralisi. Tra i soldati « Noi continuiamo a pensare che sii desiderabile a breve termine un governo di ampia coalizione. Per ragioni di emergenza, per la necessità del consenso, per rendere evidente il grado del cambiamento sociale e civile nel Paese. Il resto richiederà immaginazione e fatica. Il psi porta in dote la sua storia democratica, la sua lotta per la libertà, il suo lavoro per nuove soluzioni economiche, il suo patrimonio sindacale, le sue iniziative per i diritti civili, la democratizzazione dell'esercito, una nuova dignità della polizia e dei corpi dello Stato, lo spazio delle minoranze, il diritto delle donne. Chiede voti e fiducia. Vedremo ». Siamo circondati da una piccola folla che si è formata sui marciapiedi, che si è avvicinata, cautamente. Alcu-, ni giovani si puliscono la mano sui blue jeans e si presentano a vicenda. Viene un gruppo di soldati. A uno a uno, dei giovani agenti di polizia, dopo essersi guardati intorno con imbarazzo si mettono in fila per stringere la mano. La giornata elettorale di De Martino continua. Furio Colombo 5-13-76 Francesco De Martino, segretario socialista, in una caricatura di Lurie

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