''Einstein" di Dessau scienza responsabile di Massimo Mila

''Einstein" di Dessau scienza responsabile Il Maggio musicale fiorentino ''Einstein" di Dessau scienza responsabile (Dal nostro inviato speciale) Firenze, 31 maggio. Con un po' di cinismo si potrebbe dire che non tutto il male vien per nuocere: crudelmente divisa dalle conseguenze post-belliche, Berlino ci ha almeno guadagnato questo, che invece di un grande teatro d'opera, ora ne ha due. Mentre il settore occidentale si è costruito il moderno edificio della « Deutsche Oper » in Richard-Wagner-Strasse, a Berlino orientale hanno riedificato la classica « Staatsopcr » in Unter den Linden, e ora le due istituzioni gareggiano in efficiente continuità di prestazioni artistiche, entrambe col sistema prevalente delle compagnie di canto stabili, sia pure arricchite ogni tanto da visite di ospiti prestigiosi. Quest'ultimo teatro è ora calato in Italia, armi e bagagli, con orchestra e coro al gran completo, sotto la guida del direttore stabile Otmar Suitner, per presentare la più recente opera dell'ottantaducnne Paul Dessau, ultimo superstite dei leggendari collaboratori musicali di Brecht. Insieme con Hanns Eisler, recentemente scomparso, Paul Dessau ha operato con coraggio e diplomazia per difendere la causa della musica moderna in seno a un regime che la osteggiava. In questo senso si può affermare che qualunque possa esserne il valore assoluto, « Einstein », creata a Berlino due anni fa, scioglie ogni dubbio circa la lealtà e la buona fede dell'operazione condotta dall'anziano e sperimentato compositore. (Dessau è venuto su dalla gavetta: nella sua lunga vita ha fatto un po' di tutto, operetta, cinematografo, molta musica di scena, continuando a coltivare la musica da concerto, prima in senso tardo-romantico, poi avvicinandosi a Hindemith e sfiorando l'esperienza schoenberghiana, fino all'incontro definitivo con il teatro e le teorie di Brecht). Mentre la musica dell'astuto e aggiornatissimo Eisler, ch'era stato uno dei più promettenti allievi di Schònberg, autorizza sempre un poco il sospetto che l'ideologia abbia temperato, per non dire castrato l'originalità dello stile, invece in « Einstein » la volontà innovatrice di Dessau appare sincera c fuori discussione. Se non si tratta di musica d'avanguardia, ciò non è dovuto al compromesso di calcoli prudenziali, ma ad ovvie ragioni intrinseche all'età e alla formazione del compositore. Soggetto del dramma, dovuto alla penna di Karl Mickel, è un concetto: quello della responsabilità della scienza (bomba atomica e cosi via). Neanche da parlare, quindi, d'una continuità drammatica in senso psicologiconarrativo. L'azione, in tre atti, un prologo, due intermezzi e un epilogo, si spezzetta in un gran numero di quadri — per l'esattezza, dicioito — giustapposti a pannello, secondo la tecnica teatrale ch'era cara anche a Malipiero. Si assiste alla vicenda di Einstein e di due suoi colleghi, uno dei quali collabora col nazismo e l'altro invece raggiungerà Einstein in America: tutti impiegati, però, di qua e di là dell'Oceano, alla progettazione d'ordigni di morte. Si vedono in scena un grottesco Hitler e un anonimo presidente americano, si assiste all'esplosione di Hiroshima, che induce lo scienziato a riflessione sulla propria responsabilità, e ciò lo fa incorrere nella persecuzione della giustizia americana. Chiede consiglio — come altre volta gli accade nel corso dell'opera — alle ombre di Galileo, Leonardo e Giordano Bruno, e l'opera finisce con Einstein che brucia la formula delle sue ultime scoperte, affinché gli uomini non possano ulteriormente abusarne. Ma la visita di un ragazzino avido di sapere fornisce a lui e allo spettatore la consolante assicurazione che l'istinto della ricerca scientifica non morrà mai nell'uomo. Lo spezzettamento della vicenda in quadri nettamente separati favorisce nella musica un polistilismo senza limiti: intorno al nucleo centrale d'un lessico, come si suol dire, di moderata modernità, cioè centrato sul ruvido costruttivismo hindemithiano con timide escursioni atonali, e riservato principalmente agli ariosi del protagonista, si dispongono ogni sorta d'altri linguaggi musicali, I dal sinfonismo tumultuoso di Shostakovic al lirismo vocale di Nono (nel lamento che segue l'esplosione atomica), dalla canzonetta e dal rag-time (nelle scene di piazza americane) alla romanza melodica (di una donna di colore nell'ultimo quadro). Un capitolo a parte è costituito dall'abbondanza dei ricuperi neoclassici sotto lo schermo della parodia: il coccodrillo si sdilinquisce in mossette vezzose sui fluidi suoni wagneriani delle Figlie del Reno; il « Cavaliere della Rosa » spunta nella prigione nazista dov'è rinchiuso uno degli scienziati rimasti in patria; mentre Einstein concede un autografo a un poliziotto americano, la citazione letterale della « Sonata » in mi minore di Mozart viene a ricordarci che il grande scienziato era, oltre che cugino dell'insigne musicologo Alfred, buon dilettante di violino. Ma soprattutto il povero Bach viene preso a partito quale complice di atrocità: la perquisizione di tre poliziotti nazisti che mette a soqquadro lo studio di Einstein avviene al suono d'una scatenata « Toccata » organistica; nel primo intermezzo Hans Wurst buffoneggia con gli accenti dei più sublimi recitativi della « Passione secondo San Matteo »; aulodie di flauti e oboi richiamano imperiosamente l'atmosfera di Bach rivisitato da Strawinsky nell'« Orpheus ». Basta metterci il segno negativo pdsdssttivcvrcd(soduupeAsBtm per riscattare la musica al quadrato dalla taccia di decadentismo borghese, anzi, nazi-fascista? In tanto polistilismo, la musica di Dessau conserva un pregio costante: nella sua economica distribuzione a contagocce, è asciutta e onesta, aliena da ogni velleità di sopraffazione, sia attraverso il ricatto sentimentale, sia attraverso il trionfalismo della retorica. Lo grande orchestra è monteverdiana impiegata in formazioni ridotte e continuamente cangiate, con alterno sollievo solistico accordato ora agli strumenti ad arco (violino e violoncello sembrano sposarsi volentieri al protagonista), ora a strumenti a fiato (glissandi di trombone in funzione comica, un po' facile), ora al pianoforte usato in maniera percussiva. Bellissima esecuzione, con un protagonista perfetto, vocalmente e scenicamente, nel baritono Theo Adam. Nella schiera dei numerosi personaggi emergono Eberhard Biichner e Reiner Siiss (gli altri due Fisici), Henno Garduhn (Hans Wurst), e Annelies Burmeister, la più importante delle poche voci femminili (più voci, che personaggi veri e propri). Ma emergono per l'importanza delle parti, non perché i numerosi altri cantanti impegnati nell'opera siano da meno. Ammirevole l'orchestra sotto la direzione di Otmar Suitner e il coro istruito da Ernst Stoy. Le ingegnose scene di Andreas Rcinhardt (otto o dieci tendoni neri ora sollevati con corde ben visibili, ora afflosciati in varie figurazioni) e la regìa vivace e spiritosa di Ruth Berghaus, moglie del compositore, fanno dello spettacolo un fatto teatrale notevole e di tutto riguardo. Successo, con numerose chiamate agli interpreti e all'autore, simpatica figura di valido ottuagenario. Neanche l'ombra d'un contrasto, ma neanche vero entusiasmo: e in questo esito si racchiude forse il giudizio critico più calibrato sopra l'operazione politico-musicale di Dessau, condotta con indiscutibile sincerità e con ricca esperienza professionale, entro limiti ben precisi di doti individuali. Massimo Mila

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