Una lettera con il voto? di Tito Sansa

Una lettera con il voto? ESCLUSI CINQUE MILIONI DI ITALIANI ALL'ESTERO Una lettera con il voto? (Dal nostro corrispondente) Bonn, maggio. Che gli oltre 5 milioni di italiani in maggiore età residenti all'estero abbiano diritto al voto — come la Costituzione garantisce — non 10 nega nessuno. Perché dunque un italiano su otto non può esercitare questo suo diritto fondamentale? La questione è che i partiti politici non riescono a mettersi d'accordo sul «come », ciascuno teme che un certo sistema di votazione possa danneggiarlo a favore di un altro partito. E così le proposte di legge si succedono negli anni, di legislatura in legislatura, le raccomandazioni del ministero degli Esteri e delle ambasciate si accumulano negli archivi insieme con le proteste del «Ccie» (Comitato consultivo degli italiani all'estero) e dei 90 quotidiani e settimanali in lingua italiana che vengono stampati nel mondo intero. Per consentire agli emigrati l'esercizio del diritto di voto vi sono due tendenze: alcuni sostengono che si debba votare sul territorio nazionale e chiedono facilitazioni per 11 rientro dei connazionali in occasione delle elezioni, altri propongono che si voti direttamente dall'estero, e suggeriscono tre soluzioni diverse: istituzione di seggi presso le ambasciate e i consolati, voto per procura, voto per corrispondenza. I primi avversano le soluzioni del secondo tipo perché (a loro avviso) sono inconciliabili con l'articolo 48 della Costituzione, il quale prevede che il voto debba essere «personale, libero e segreto»; i secondi sono contrari al rientro perché lo considerano tecnicamente impossibile, (ci vorrebbero le flotte, gli aerei di tutto il mondo per trasportare contemporaneamente 5 milioni di italiani in patria) e fanno giustamente osservare che la spesa sarebbe enorme. Ma dietro alle dichiarazioni palesi si nascondono fini politici, che le diverse forme di voto porterebbero a notevoli spostamenti di tendenza dell'elettorato. L'on. Giuliano Pajetta del pei, responsabile dell'emigrazione, vuole, come la Filef (federaz. ital. lavoratori emigrati e famiglie, di sinistra), una legge la quale preveda: 1) il pagamento dell'intero viaggio (non solo sul territorio nazionale) all'elettore; 2) il pagamento di un indennizzo per i giorni di lavoro perduti; 3) la concessione di permessi speciali (non computabili come ferie) che dovrebbero venire procurati dalle autorità consolari. Pajetta, sul quotidiano l'Unità del 7 agosto 1972, ricordava dodici proposte di legge per far votare gli italiani direttamente all'estero (8 del msi, 1 del psdi, 3 della destra democristiana) e si opponeva con i seguenti argomenti: nessuno Stato di grande emigrazione prevede il voto all'estero; occorrerebbero liste precise degli elettori presso i consolati; la propaganda elettorale sarebbe impossibile in certi Paesi, tipo Brasile o Sudafrica; altrove, negli Stati Uniti, in Argentina e in Auj stralia il viaggio al più vicino I consolato equivarrebbe per | taluni elettori a un viaggio dalla Svezia alla Sicilia; alcuni Paesi (Svizzera e Argentina) hanno già detto di no, Perciò Pajetta propone il rientro di «tutti», a spese dello Stato, ben sapendo che è impossibile. Ammettendo che in media il viaggio di ogni italiano all'estero costi 200 mila lire, il rientro di 5 milioni di elettori comporterebbe per le casse dello Stato una spesa di 1000 miliardi di lire, l'equivalente delle rimesse, frutto del lavoro di un anno, di tutti gli italiani residenti all'estero. E veniamo alle proposte del secondo gruppo, quelle che prevedono il voto dall'estero, prendendo in esame soltanto le più interessanti, dei democristiani Foderaro e Pella e del neofascista Michelini. Foderaro, in una proposta di legge del 1968, chiede che i cittadini residenti all'estero votino presso i consolati sulla base di liste elettorali fornite dai singoli comuni. Michelini nello stesso anno è d'accordo, vuole soltanto che l'iscrizione nelle liste sia volontaria. Pella vuole semplificare, far inviare i risultati dalle ambasciate e dai consolati direttamente al ministero degli Esteri, dove dovrebbe esserci una speciale circoscrizione estero. Le tre proposte di legge vengono discusse, come tutte le altre, ma non ce ne fa nulla. In realtà le diverse proposte sono pressoché inattuabili. Istituire seggi presso i consolati è praticamente impossibile, a parte l'ostacolo costituito dal divieto di alcuni Paesi, i quali considerano l'esercizio del voto da parte di stranieri incompatibile con la loro sovranità. Il giorno delle elezioni vi sarebbero verso alcuni consolati movimenti di masse di italiani paragonabili a quelli dei fedeli verso la Mecca. In Argentina — per esempio — dodici uffici consolari dovrebbero accogliere in un giorno oltre mezzo milione di elettori. Per ovviare all'inconveniente e sparpagliare i votanti (ma dove?) nella sola Buenos Aires si dovrebbero aprire 320 seggi, 100 a Zurigo, 100 a Parigi, 150 a Stoccarda, 130 a Toronto. Impossibile, non c'è dubbio. Al voto per procura, suggerito da taluni, si oppone l'articolo 48, laddove prevede che il voto sia « personale, libero e segreto ». Una procura avallata dall'autorità consolare (con sovraccarico di lavoro) non garantirebbe in alcun modo dal rischio di abusi e di pressioni, anche nel caso che il legislatore voglia modificare l'articolo 48 per quel che riguarda la « personalità » del voto. Non rimane pertanto che il voto per corrispondenza, del quale già nel 1921 l'avvocato Tumedei disse: « Siamo sulla strada buona ». Tecni¬ camente è infatti possibile garantire che sia « personale, libero e segreto » senza toccare (grazie al segreto della corrispondenza) la suscettibiltà dei Paesi ospitanti gli emigrati. E' vero, alcuni Paesi hanno categoricamente escluso dal voto i non residenti: la Svizzera, l'Austria, il Giappone. Altri invece permettono il voto per procura, l'Olanda, la Francia, il Belgio. Altri ancora concedono l'« absentee voting » per corrispondenza a certe categorie: il Canada ai dipendenti delle forze armate, la Norvegia ai marinai imbarcati (consegnano la scheda al capitano, « persona del re »), la Gran Bretagna alle « persons with a service qualification », gli Stati Uniti ai militari, ai membri della marina mercan- j tile e alle loro famiglie, agli impiegati civili, cioè pratica- ! mente a tutti coloro (e sono I la maggioranza) che si trovano all'estero al servizio del I Paese. | La più democratica — in | fatto di esercizio del diritto ! di voto — è la Germania Fe! derale. Essa concede indiscriminatamente a tutti di votare i per corrispondenza, senza dover fornire alcuna giustificazione. Un tedesco su otto fa uso di questo diritto. E' semplice: basta fare richiesta all'ufficio elettorale e insieme con il certificato arrivano due buste, l'una da firmare come « dichiarazione di voto » e l'altra anonima, contenente la scheda. Ovunque si trovi, a casa propria, all'ospedale, steso sulle spiagge della Romagna o impegnato in un safari africano, il cittadino tedesco può votare. Ovviamente deve imbucare le due buste, l'una dentro l'altra, con un certo anticipo sulla data delle elezioni. Non si potrebbe fare così anche in Italia, signori senatori e deputati che verrete eletti il 20 giugno (senza di noi, residenti all'estero)? Tito Sansa

Persone citate: Foderaro, Giuliano Pajetta, Michelini, Pajetta, Pella