A Torino, mezzanotte di fuoco di Giovanni Arpino

A Torino, mezzanotte di fuoco IL VOLTO INQUIETANTE DELLA CITTÀ "DIVENTATA UN'ALTRA,, A Torino, mezzanotte di fuoco Vendette di clan, prostituzione femminile e maschile, droga venduta davanti alle scuole come castagnaccio: si moltiplica una fauna miserabile e violenta L'uomo venne portato fuori dalla sala operatoria. Prima che gli estraessero dal cranio la pallottola (altre due gli avevano trapassato l'addome) l'elettroencefalogramma risultava piatto. «Parla. Dicci chi è stato. Non hai niente da perdere », gli mormorò il commissario. L'uomo alzò due dita, tracciando nel vuoto un vago segno di croce. «Parla. Forse puoi cavartela», riprovò il commissario. L'uomo ripetè quel gesto. A significare: muoio. Ma anche: non dirò niente. Raccolto in via Santa Giulia la notte di venerdì 21 maggio, insieme ad un compare già cadavere con due pistole ormai inutili in pugno, avrebbe scritto solo il suo nome: Giovanni Pistrorio. Ventisette anni. Morì il giorno dopo, senza aver ripreso conoscenza. Ed era morto, poche ore prima di lui, in un bar di via Principe Tommaso, schiantato da tre proiettili. Aissa Bouherraoa, trentacinque anni, algerino. Voleva diventare un boss, lo trovano cadavere con neppure tremila lire in tasca, un solo ricambio di biancherìa nella sua miserabile stanzetta. Poche ore dopo, un killer massacra con sei colpì di un'automatica 7,65, in un ristorante di Borgo San Paolo, il giovane magnaccia Franco Imperio: tre pallottole gli spappolano il viso, tre gli si infilano nel corpo. Piazza pulita La faida è finita? Nessuno può dirlo. Certi, con inevitabile cinismo, commentano: finché sì ammazzano tra di loro, tutto bene. Altri prevedono una nuova catena di vendette. L'opinione dì chi è costretto a « lavorare » su questo materiale suona: si tratta di « conflitti di lavoro ». Ogni scoppio di violenza tra clan rivali, infatti, non può essere giudicato diversamente. La « Torino nera » riconquista titoli a nove colonne nelle pagine della cronaca, poi i capoversi diminuiscono, le notizie si fanno magre e gelide, la vita di tutti i giorni riprende con le sue meste risacche. Devo condensare in questo artìcolo una serie fin troppo nutrita di informazioni sulla Torino « diventata un'altra». Mi viene spiegato: esiste il racket della prostituzione, quello della droga, il terzo dei mercati ortofrutticoli, mediato da esperienze napoletane; eccoci al quarto, dell'estorsione; eccoci al quinto, dei rapimenti; eccoci al sesto, dell'edilizia, dove braccia e cementi garantiscono mucchi di denaro illecito. Sono forme di mafia, di camorra, che hanno seguito le grandi immi¬ grazioni degli Anni Cinquanta e nel giro di una generazione sono riuscite a proliferare, metter radici, in un terreno favorevole. Per non parlare degli espontanei che inventano questa o quella rapina. Per lasciar perdere gli scippatori giovanissimi, più o meno occasionali. Per non mettere in statistica i vari tipi di truffa, furto, imbroglio, o le «catene» della ricettazione. Mi viene detto: venticinquemila sono le prostitute che « battono » nell'area | della cosiddetta « grande Torino ». Il giro d'affari, secondo alcuni, pare sia di poco inferiore al fatturato Fiat, anche se si tratta di cifre ipotetiche, di una folle liquidità che non conosce bilanci o fiscalizzazioni. E intanto il rapporto tra prostituzione maschile e femminile sta avviandosi verso un incredibile equilibrio: ad ogni quattro baldracche corrispondono due « battoni », con tutto il loro ovvio concerto dì protettori. Le indicazioni ulteriori aumentano 10 sconforto: per il novanta per cento, questi «battoni» risultano meridionali, specialmente pugliesi, mandati sui marciapiedi da mille bisogni. Ma chi li frequenta? Perché simili fenomeni dipendono senza dubbio alcuno da determinate «esigenze di mercato». E queste «esigenze» sono di ogni tipo, frutto di ogni curiosità più, o meno depravata. Ecco il panettiere di provincia che viene scoperto con un « professionista » imbellettato e imparruccato. Si stupisce, finge di averlo incontrato per la prima volta, e non è vero. Persone insospettabili sono scovate in compagnia di travestiti. Gli stessi inquirenti ne restano scossi. E intanto i «battoni» conquistano marciapiedi, spazi, nuovi angoli, estromettendo persino le rivali donne che da un'eternità occupano quel mattone, quella striscia di cemento. Un investigatore mi confessa: non mi stupirei di trovare nella borsa di un medico, di un operaio, di un avvocato, di un artigiano, la tipica parrucca e 11 rossetto e i tacchi alti; conosco un « battone » che pesa oltre cento chili, si trucca con infinita cura per andare al « lavoro », se lo caricano su una « 500 » ne viene poi fuori con sforzi incredibili; è una delle piaghe più vaste in Torino, dopo quella nuova, tremenda, regalataci dalla droga, fino a sette o otto anni fa praticamente sconosciuta. E' ormai arrivata alle « medie ». La vendono fuori delle scuole come una volta si vendeva il castagnaccio: ecco quanto mi viene confidato, e sono autentici colpi di rasoio, mazzate in faccia per chi poteva solo intuire. dubitare, leggendo i giornali, ascoltando certi discorsi. La verità nuda è terribile, arduo è trovare la forza di guardarla. Mi precisano: con la solita leggerezza nostrana, i drogati si buttano subito sui veleni «pesanti». Il loro processo di intossicazione è rapidissimo. Sono migliaia, a Torino. E la droga « pesante » costa, costringe a rubare, a farsi spacciatore, ad aggredire. Torino non è una « piazza » dove si potrà trovare la solita macchinano imbottita di eroina, come a Napoli o a Marsiglia. Qui è il « minuto » che conta, questa città è un terminal di consumo spicciolo. Gente che va e viene da Amsterdam con facilità: un tizio interessato a creare un determinato « giro d'affari » per lui nuovo, tempo fa seguì una squadra torinese in trasferta per una Coppa di football, e portò con sé, in mezzo a tifosi innocentissimi, due « drogati ». Avrebbero assaggiato per lui la merce in Olanda per deciderne la qualità e importarla nel viaggio di ritorno. La consorteria del crimine ha scoperto con appena un attimo di ritardo certa propensione per la droga a Torino. E subito l'ha incentivata con nuovi metodi. Siringhe sono state trovate in due scuole. Ragazzi di buona famiglia giacciono in cliniche straniere. Ma la fase più cruda la si deve ancora attraversare. Con lucida durezza mi si dice: la droga era un vizio d'alto bordo, un affare da élite. Le è accaduto come nelle vicende della moda: dalla boutique al grande magazzino e ora al mercato più o meno cenciaiolo sull'angolo. E intanto si spiega raramente cosa significa « droga ». Non ci si sofferma a sufficienza sulla degradazione che provoca, sul macello a cui sottopone gli organi interni. Perché — mi dicono — la prendi per sognarti superuomo, poi devi imbottirti per crederti appena uomo, poi creperai a furia di siringate perché solo per aver la forza di sollevarti dal letto avrai bisogno del centesimo « buco ». Caro gergo Nel gergo di una volta, la rivoltella veniva chiamata la « spiritosa », la radio della polizia era la « bestia », il coltello aveva il nome quasi familiare di « martin », il giudice godeva dell'appellativo affettuoso di « pittore », il bottino lo portavi con un sacco sulle « frontiere », cioè le spalle, ed una « vedova », cioè una cicca, non la si negava a nessuno. Un uragano di mutamenti sociologici ha mutato abitudini, modi di dire, categorie. Quel linguaggio non 10 si usa neppure più nelle prigioni, dove i boss governano, costruiscono piani criminosi e si esprimono in ben diversi dialetti. Di « spiritoso » c'è un bel niente. L'automatica, la P. 38, la « Bernardelli 7,65 » hanno inaugurato nuovi corsi e stabilito nuovi modelli di comportamento criminale. Il tetro ombrello di un'omertà impermeabile copre i vari rackets, attentissimi a non pestarsi i piedi tra di loro. Facili da beccare sono i dilettanti, che cercano di imitare i « grandi » della cronaca nera. In questi casi la stessa « mala » offre confidenze, pur di continuare in pace i suoi traffici. Il dilettante viene irrimediabilmente pescato, se non quel giorno, il giorno dopo. Ma le strutture portanti della malavita crescono e inventano sempre nuove « coperture ». 11 fiume di denaro liquido arriva ad un terminal dove la parola riciclaggio fa ridere: è tutta moneta che si trasforma in « s.p.a. », intorno alle quali polizia, carabinieri, finanza, debbono muoversi con più raffinate metodologie. L'aggressività — ci è stato insegnato da anni — è una delle componenti della nostra vita contemporanea. L'arancia meccanica è l'ultimo frutto dell'albero, e lo conosciamo. Forse è addirittura inestirpabile. Ma potrebbero essere « ripuliti » i luoghi dove questo frutto prolifica. Il carcere è una di queste cucine. Mi spiegano: chi vi entra deve pagare un pedaggio fisico, una deflorazione brutale che è regola sovrana; se un individuo qualunque è criminale al venti per cento, quando ne esce lo è al cento per cento. Se per caso è innocente, la sua inconscia potenzialità criminosa scatta e sale comunque al cinquanta. Taglie e ricatti Quante sono le taglie pagate in silenzio da negozianti minacciati? Quanti sono i riscatti, anche cospicui, versati dalle famiglie dopo trattative che non hanno mai avuto un rigo sui giornali e un minuto di indagine? Qui entriamo, ovviamente, in un territorio nebbioso, dove le ipotesi si accavallano, si annullano, si ribaltano ad ogni passo. Ma non pochi inquirenti, a Torino, sostengono che queste taglie, questi riscatti sono avvenuti. Ed una certa colpa va anche al carattere piemontese, ad un certo perbenismo che si lascia doppiamente impaurire. Al terrore si aggiunge la tendenza a occultar tutto, a non apparire mai. Mi viene raccontato di un tale, ricattato telefonicamente. Si presenta ad un certo ufficio per la denuncia. E dice: vogliono trenta milioni, per stare in pace glie ne darei uno, si può? Non ottiene né udienza né approvazione, e si stupisce anche, il buonuomo. E' notte, tento un giro solitario per la città dove le luci palpebrano inutilmente. Ho un amico che abita nel « ghetto della mala », cioè in quelle strade che partono da via Nizza e si spingono verso il Po. Davanti alla minuscola bottega di questo amico lungo il giorno « battono » tre o quattro grassone, patetiche nelle loro minigonne. Polpacci di mostri, grinte che si disfano alla luce del sole. Racimolano ancora qualche soldino, ma tengono nella borsa il pacchetto delle sigarette di contrabbando. Alla sera, le sostituiscono i travestiti, galleggianti su zatteroni, coi bicipiti di fuori, il seno finto gigantesco, pronti al lavoro per « la cinquemila ». Passeggiando riconosco certi celebri portoncini di club, bruciati, fatti saltare con le « molotov » mezze dozzine di volte. I passanti sono rari, voci grossolane si levano, ridono, litigano per tacere di colpo se sentono un paio di scarpe avvicinarsi lungo ìl marciapiede. Quando si spegne il neon di un cinema pare che tolgano l'ultima corrente di vita artificiale, e che il corpo moribondo del quartiere ruoti scricchiolando su se stesso per evitare un coma metafisico. L'aria è rancida, lividi i muri. Penso a quell'algerino, detto Mustafà, sforacchiato dai proiettili. Voleva mettersi a posto, e cioè diventare un « pappone ». Voleva imporsi come un « duro », si fingeva dipendente di un night, possedeva una sola maglietta. Sognava un mezzo milione di lire. E' cadavere estraneo a tutti, che nessuno ricorda, che magari fa ridere l'esecutore per la facilità con cui ha potuto tener fede al suo « contratto ». Camminava qui. Mustafà, non è trascorsa più di una settimana. Conosceva questa fetida casbah e voleva, a modo suo, spremerla, possederne una briciola. Quelli che pensano sempre e soltanto in termini cattedratici possono sfogare la loro scienza sulle tante sub-culture. E' l'ennesimo svicolamento per darsi l'ennesimo alibi. Eppure, lui Mustafà, venuto a Torino, zero virgola zero nell'anagrafe universale, fu persona. Maledetta, ma persona. Batteva questi marciapiedi vantando la propria forza fisica, lanciando ghignate gradasse. Nient'altro aveva da mostrare. Ebbene: come persona, co¬ me uomo di trentacinque anni, come creatura sotto la volta dei cieli, Mustafà non « teneva diritto ». Non « tenne diritto » neppure come cadavere. Per radiografargli la testa crivellata da tre pallottole, gliela staccarono dal corpo e la portarono all'ospedale in una sacca della spesa, di plastica. C'è un ronzio sommesso di motore. Dev'essere una « gazzella » perché gli zatteroni dei travestiti s'affrettano lungo il marciapiede, tentando di sottrarsi al controllo. Zoccolano via come squallidi ectoplasmi in un inferno meschino, eterne comparse di quel «lato sinistro » dell'esistenza che fa del delitto un mestiere. Mi viene in mente quello che forse è l'unico personaggio da sorriso nei meandri della Torino iniqua. Lo chiamano « Punto e virgola », è un ladro, ruba soltanto «Bmw». Basta ordinargli una ruota di « Bmw » e lui consegna tutta la macchina. Talvolta lo aiuta, facendogli da «palo», una prostituta di rara bellezza. Una « da trecentomila a botta», mi dicono. Beh, gli dà una mano, tra di loro c'è un patetico, tenero rapporto dì « deviati » che cercano di salvarsi l'uno con l'altro. In questo momento sono ambedue al fresco. Torno in piazza Carlo Felice, dove qualcuno ha calpestato per sfregio l'orologio di fiori nel giardino. Mi sembra di poter immaginare il bravo sonno di tanta brava gente. Gente che per la sua compattezza civile, per la sua maturità storica ha saputo tener lontane certe piaghe contemporanee: le stragi politiche, gli attentati, le eversioni sanbabiline, ad esempio. Ma gente che è inerme, ancora, davanti a troppi pericoli. Non so perché (anzi, so benissimo) mi torna alla memoria un bambino sconosciuto che all'ordine dell'insegnante, a scuola, pochi giorni fa, dovette rovesciarsi le tasche. Venne fuori il sospettato coltello. «Ma non è lungo quattordici centimetri. E' legale », strepitò lui, piangendo di rabbia. E domani? Giovanni Arpino II/,» ■ «§ 1 m ; * JM_... Torino. Controlli della polizia nei pressi di Porta Nuova (Foto « La Stampa »)

Persone citate: Aissa, Bernardelli, Franco Imperio, Giovanni Pistrorio, Mustafà