I "casi" Pannella e Selva di Furio Colombo

I "casi" Pannella e Selva COME GARANTIRE IL PLURALISMO NELLA RAI-TV I "casi" Pannella e Selva Nella battaglia per il controllo (o l'imparzialità, o la riforma, o il diritto di accesso, o l'autonomia e indipendenza) della televisione e della radio, questa campagna elettorale è caduta come un macigno su un tavolino a tre gambe. Il mobile scricchiola, la pressione rivela le parti deboli, che sembrano tante. L'attenzione di tutti è attratta da due casi opposti: quello di Gustavo Selva che nei suoi «editoriali» del Gr2 «parla troppo» e viola — si dice — i criteri di corretta e imparziale informazione e quello di Marco Pannella, che reclama, in nome di un territorio culturale che è certo più grande del partito radicale, il diritto di parlare, e tutti gli danno ragione, ma un microfono non si trova. Problema di fondo Accanto ai due casi, ci sono due posizioni politiche: una dice che stiamo toccando con mano i frutti peggiori della lottizzazione mentre un'altra vede nella mini-riforma finora realizzata l'inizio di uno sviluppo nel quale i germi del pluralismo ci sono già. Basterà tonificare le strutture, abituare gli operatori, allargare gli spazi, limando qualche eccesso di personalismo alla Selva e inventando un marchingegno per richieste come quelle dei radicali. Il quadro sembra confuso. Ma una lettera di Michele Principe, direttore generale della Tv, fa un nodo dei quattro fazzoletti e li mostra al pubblico. Dice la lettera, in sostanza: il diritto di accesso, previsto dalla legge, non è attuabile perché mancano mezzi, studi, impianti, personale. Mancano perché tutta la parte che la televisione prevede di destinare a uso pubblico e alla partecipazione degli estranei è stata messa a disposizione di Tribuna Politica. Quindi il diritto di accesso potrà iniziare in luglio, verso le quattordici e trenta. Mese e ora potrebbero provocare gustose vignette e un'ironia un po' facile; tipo Pannella che arringa piccoli gruppi di peones abbattuti dalla calura, col sombrero abbassato. Ma la lettera di Principe rivela il punto in cui tutte le tensioni si incrociano: il rapporto fra l'ente radiotelevisivo e il Parlamento. Muovendosi come un torero, fra strumenti di vigilanza, di supervisione, di controllo, di pungolo, di stimolo, di censura, di denuncia, di condanna, e intanto amministrando direttamente alcune parti dei programmi che vanno in onda, il Parlamento e la commissione di vigilanza svolgono troppe funzioni diverse, in cui lo stesso gruppo autorizza e controlla se stesso, si approva e si disapprova, passa dal voto all'unanimità fino ai contrasti più accesi sullo stesso argomento (distribuzione dei tempi di propaganda a gruppi e partiti). Intanto il consiglio di amministrazione della Rai, che è un riflesso del Parlamento perché comprende esclusivamente uomini designati dai partiti, appare bloccato. Il disagio nei rapporti, non definiti, non studiati, non chiariti, fra Parlamento e Rai-Tv, getta sull'azienda una valanga di equivoci e non si sa più se il filtro sia nel controllo (Parlamento), nella decisione (consiglio di amministrazione) o nella responsabilità autonoma (direttori delle testate giornalistiche e radiofoniche). E qui si accumula la confusione nel tipo di proteste. Prendiamo il caso Selva. Nella sostanza il caso è semplice: Selva ha ragione, perché è chiaro che un giornalista, quando firma, deve avere libertà di opinione e di giudizio, e non può essere accusato di fare il « democristiano». Ma ha torto, perché la gente — gruppi o partiti — se vuole esprimere una opi¬ nione diversa da quella di Selva può mettersi le mani a imbuto intorno alla bocca, perché un microfono libero non lo trova. Ma non lo trova — qui compare in tutta la sua gravità il caso Pannella — perché gli spazi politici sono stati prelevati dal Parlamento e messi a disposizione dei partiti. E tutti, nella commissione di vigilanza, hanno vo- i tato quella fettona di spazio per i « grandi » che, sommata agli editoriali di Selva, rende la situazione certamente squilibrata. 10 penso che la protesta contro Selva dovrebbe, sulla base della richiesta comune di una giusta riforma, essere sommata alla protesta per Pannella. Altrimenti è solo un episodio (serio, degno di attenzione, ma limitato) dello scontro politico elettorale. 11 vero segno della riforma dovrebbe essere non di chiedere a Selva di dire di meno, ma di fare in modo che tutti, Pannella compreso, dicano di più. Il difetto fondamentale, la gamba che manca al tavolino Rai-Tv squassato dalle proteste, è una distinzione, ampia e serena, fra la costante e disinteressata vigilanza del Parlamento (che si esprime di volta in volta con diversi tipi di votazioni dei partiti che compongono l'organo vigilante) e l'autonomia dell'ente. / poteri dell'ente Perché è l'ente che dovrebbe essere in grado di decidere in piena autonomia su tutte le questioni che lo riguardano (esempio: fermando Selva, o dichiarando che a ogni editoriale di Selva è giusto che segua una risposta diversa). Salvo a rispondere al Parlamento in due sole vesti: come organo di controllo, che offre «direttive e indirizzi», e come tribunale di ricorso, di esame e di decisione alla fine di una fase della gestione. Un nodo cosi complicato si scioglie solo se il Parlamento, che deve restare il punto alto della vita pubblica, non si mette a fare, « parttime», il consiglio di amministrazione della Rai-Tv, e si rende disponibile per la difesa di tutti i cittadini, visto che rappresenta non solo chi 10 ha già votato, ma anche chi lo voterà. Il problema si risolve se 11 consiglio di amministrazione della Rai-Tv fatto adulto, invece di paralizzarsi da sé, con tenacia goliardica, facendo mancare il numero legale o rinunciando a sostituire i consiglieri stabilmente assenti, agirà come il consiglio di amministrazione di ogni società: con piena autorità, autonomia e dignità, fino a quando è in carica. In tale veste può dire serenamente a Selva che la pratica degli editoriali è civilissima, ma si può attuare solo se e dove esista il diritto di rispondere. E che il diritto di rispondere fa parte di quella invenzione e protezione del diritto di accesso che è il primo compito della riforma. Un consiglio di amministrazione con questa serenità e questa forza troverà il tempo per gli esclusi, anche a costo di tagliare sul divertimento. Poi il Parlamento, nella sua veste alta e libera di ultimo tribunale, dirà se va bene o va male. Ma più il Parlamento è libero dall'interferenza quotidiana, più è probabile che il suo giudizio sia autorevole e persuasivo, senza il pericolo che i fili di un rapporto (quello dei cittadini elettori verso il Parlamento) si aggroviglino con altri fili, da potere a potere, da partito a partito, dentro e fuori delle segreterie politiche, dei consigli di amministrazione e del comitato di vigilanza. Furio Colombo