Goldoni "sociale,, tra i contadini

Goldoni "sociale,, tra i contadini "Il Feudatario,, all'Alfieri Goldoni "sociale,, tra i contadini Lo spettacolo presentato dal Teatro popolare di Roma con la regìa di Scaparro La fortuna che II feudatario del Goldoni ha incontrato nei paesi di lingua tedesca e l'interesse che ha suscitato nella critica sovietica, che lo leggeva tradotto giù negli Anni Trenta, invoglerebbero a rivalutare un testa (1752) oggi più citato che conosciuto e rappresentato ma che. ancora all'inizio del secolo scorso, veniva sovente ripreso con il titolo I deputati della comunità di Montcfosco. Si rischìerebbe pe rò di sopravvalutarlo attribuendo all'autore vaghe idealità premarxi ste mentre, al più, va riconosciuta al Goldoni un'attenzione per il mondo contadino per lui insolita e « un preciso giudizio critico nei confronti dell'oligarchia aristocratica » come sottolinea, con qualche tratto di troppo. Maurizio Scaparro che con il « Teatro popolare di Roma » ha presentato la commedia all'Alfieri per la stagione in abbonamento dello Stabile. Ma Scaparro, per fortuna, non confonde i contadini del Goldoni con i villani del Ruzante e, seguendo l'esatta indicazione del titolo ottocentesco, riconosce nelle « buone genti di villa », che l'autore assume come antagonisti non troppo accesi dei nobilucci locali, soltanto i notabili — cioè quelli che « fanno politica » — di Monte/osco: un paese che per prudenza il Goldoni colloca nel Napoletano e Scaparro, giustamente, se non proprio nel Veneto (l'autore stesso confessava dì essersi ispirato a una lite della quale era stato chiamato a giudicare in un feudo del Veronese), in una plaga abbastanza neutra per dissipare ogni sospetto di compiacimento focloristico. Ma non per questo il regista ha idealizzato questi villici che insorgono in nome dell'onore e della « riputazione » quando, e solamente allora, l'infoiato marchesato Florindo comincia a mettere le mani addosso alle loro donne e si schierano contro di lui per sostenere il buon diritto della legittima erede del feudo. A dire il vero, non U aveva idealizzati nemmeno Goldoni che, pur guardando ad essi con simpatia, non si perita di esporli al ridicolo e, alla fine, di abbandonarli alla sconfitta, sia pure con una punta di amarezza che Scaparro ha fatto bene a cavar fuori concludendo la commedia con la patetica esclamazione del capo della comunità risottomessa più di prima: « Viva il padrone! (che grande politico sono!) ». Insomma la rappresentazione, come avevamo avuto occasione di scrivere quando nel luglio scorso fu data a Borgio Verezzi, non ammicca a una coscienza di classe e accenna appena, per quel tanto che affiorano nel testo, alle lotte sociali. Forse per questo manca un poco di convinzione, ma non più di grinta, nell'austera cornice della scenografia di Roberto Francia e dei costumi di Franco Laurenti. In compenso ha un decoro e anche un'intelligenza che fanno onore al regista e ai suoi affiatali interpreti, molti dei quali sono gli stessi che col- laborarono alla prima edizione delio spettacolo. Così, accanto a un finissimo Pino Micol, bellimbusto inetto e molliccio che si sveglia solo per allungare le mani sulle contadinotte, e ricevere bastonate dai mariti, compaiono stavolta Adriana Innocenti che incattivisce a meraviglia, quando non Io avvolge in soavi ipocrisie, il personaggio intrigante e autoritario della marchesa madre, e Nunzia Greco che. promossa dì ruolo, è ora la maltrattata ma insopportabile Rosaura. Fernando Pannullo e Giulio Pizzirani sono ancora il prudente Nardo e l'iracondo Cecco, mentre Donatella Ceccarello è una focosa venere rusticana, Udo Bollato un simpatico Arlecchino. Accoglienze liete, si replica sino a domenica. a. bl.

Luoghi citati: Borgio Verezzi, Roma, Veneto