Svezia, orgoglio e paura di Mimmo Candito

Svezia, orgoglio e paura DOVE VA LA SOCIALDEMOCRAZIA SCANDINAVA Svezia, orgoglio e paura Molti non esitano a definire "terribile" il più ricco Paese d'Europa: tanto alti sono i sacrifici richiesti ai cittadini per conservare il loro livello di vita - Si chiede dai nuovi utopisti una società più "flessibile", l'invenzione di un'altra solidarietà (Dal nostro inviato speciale) Stoccolma, maggio. Mistica e razionale, la Svezia soffre già le paure e gli orgogli della società perfetta. Computerizzati con l'uniformità anonima d'uno Zamjiatin, il cittadino di Stoccolma e il minatore di Kiruna sono numeri indifferenti nella memoria dei cinque grandi « calcolatori elettronici » che sanno tutto, manovrati dalla schiera dei burocrati dello Stato assistenziale. Ma la crisi del sistema lascia spazio alla sperimentazione del futuro, dal conformismo degli stereotipi nascono forme illusorie di libertà; l'invenzione sociale recupera un neoindividualismo di tipo progressista, non usabile dai conservatori dello Strand come alternativa al pericolo della collettivizzazione. L'immaginazione non è ancora tanto forte da creare una «terza via», ma le incertezze e le avventure di questo work in progress c'interessano tutti: perché questa è già storia di noi domani. « legalizziamo la vita », esorta il prof, Gtìsta Rehn, direttore dell'Istituto di Ricerche sociali dell'università di Stoccolma. A suo modo è un terrorista, vuole far saltare in aria i compartimenti stagni che dividono l'uomo in tre età incomunicanti: quelle dello studio, del lavoro e della pensione. «Prendiamo il lavoro — dice con la razionalità disarmante dei miti di Frank Capra — qui, come in tutto il mondo industrializzato, si lavora otto ore al giorno, che nevichi o ci sia il sole. Perché non lavorare, invece, nove ore d'inverno e sei d'estate? La produzione non ne risentirebbe, e la vita sarebbe molto più piacevole ». Cosi le vacanze: « Perché esser costretti a fare ogni anno quattro settimane di ferie nella folla assordante dell'estate, e non aver diritto, per esempio, a una quinta settimana da cumulare e utilizzare liberamente ogni tre anni? ». Ma anche lo studio: « Perché debbono studiare solo i giovani, e non avere invece, noi adulti, il diritto di ritirarci per qualche tempo dal lavoro e poter imparare cose che ci piacciono o ci possono esser utili professionalmente? ». Così la pensione da suddividere in tempi diver- \ si, o la possibilità per i giovani di lavorare senza perdere il diritto a riprendere — in un tempo successivo — gli studi interrotti. Il professor Rehn ha i panni larghi e lunghi dell'ideologia rooseveltiana; ma lui non è James Stewart, e le sue teorie vogliono recuperare il diritto alla scelta individuale nella società storica dì oggi, senza fughe mistificanti nell'immagine accomodata del passato. Questa invenzione è « la flessibilità della vita », uno schema sociologico che rompe la rigidità dei comportamenti e permette a ciascuno di costruire l'uso del proprio tempo come una serie di tasselli intercambiabili praticamente all'infinito; punto d'avvio è « la convinzione che una gran parte di quan- to ciascuno di noi paga co¬ me contributi sociali al sistema previdenziale è in realtà un trasferimento di reddito tra parti diverse della nostra vita: si tratta, dunque, di fondi che in larga misura sono proprietà privata, e potrebbero essere liberati da ogni supervisione burocratica. Il loro uso, piuttosto, dovrebbe essere influenzato da " incentivi " offerti dallo Stato, che il cittadino potrebbe accettare o rifiutare ». Prelievi sostitutivi o integrativi di alcuni dei contributi sociali formerebbero un « Fondo di riserva per investimenti personali » (i liberi professionisti o, comunque, i lavoratori non dipendenti vi contribuirebbero con una quota proporzionale alle tasse pagate); la di- sponibilità di questo fondo sarebbe assolutamente indi- ttXSSStfS^ to, che potrebbe utilmente intervenire favorendone o sconsigliandone l'uso in funzione d'equilibrio al mercato del lavoro; il cittadino riceverebbe copia periodica dell'ammontare del proprio « credito », e lo Stato provvederebbe a tutelare il fondo dagli effetti inflazionistici tramite una adeguata indicizzazione. Unico limite sarebbe quello volto a impedire che un uso spropositato del fondo riduca eccessivamente, o prosciughi del tutto, la parte che deve essere conservata come pensione per la vecchiaia. « La libertà di organizzarsi la vita — dice Rehn — è un desiderio insopprimibile; molto spesso, però, resta un'amara ambizione, perché la standardizzazione normativa comprime ogni pos- sibilità di cambiamento. Le stesse garanzie del posto di lavoro e gli incentivi alla stabilità della manodopera finiscono per operare come limitazioni alla libertà individuale, rendendo troppo costosa e rischiosa una ipotesi di dimissioni ». Le varianti nel mercato del lavoro sono, invece, infinite: se c'è chi ha saputo scegliere per tempo e con studi adeguati la sua occupazione, molti hanno abbandonato gli studi e ora, con l'esperienza del lavoro, vorrebbero riprenderli; altri preferirebbero continuare con un lavoro indipendente, o alternare lavori poco impegnativi ad altri pesanti; o continuare con impieghi part-time, o fare un lavoro duro e ben remunerato soltanto negli anni più vicini alla pensione. Cos'è che cambia La rigidità d'una regolamentazione appariva giustificata, e soddisfacente, in una società in cui l'orario di lavoro era molto più lungo e la disponibilità del tempo libero o di perìodi « volontari » di studio era assai limitata; oggi — e più ancora tra qualche anno — le stesse norme operano come costrizione immotivata, riducendo anche il grado di partecipazione psicologica al lavoro. I fattori che spingono verso una maggiore flessibilità nascono dalle nuove tecniche produttive e dalla crescente diversificazione dell'economia: il ruolo del lavoratore è mutato, le pressioni della società favoriscono una integrazione della fabbrica e dell'ufficio, la concentrazione urbana ha variato i ritmi di vita, il terziario domina la frequenza delle scelte, il più alto livello culturale porta maggior con- i — sapevolezza e desiderio del lavoratore di realizzare le proprie personali decisioni. «E' assai più saggio — dice Rehn — adeguarsi a questo trend che tentare di resistergli con la difesa di regole ormai nettamente superate ». E se è indubbio che un limite tecnico impedisce in alcune aree economiche la completa realizzazione di questa «flessibilità », va anche considerato che la struttura salariale alla lunga creerà un adeguamento tale che posti di lavoro con orario « non-flessibile » saranno pagati meglio di quelli che una possibilità di articolazione renderà più interessanti. In opposizione alle tecniche dirigiste attuali, Rehn ha immaginato lo scenario d'una società industriale flessibile degli Anni Ottanta, una sorta di favola scientifica dove la libera disponibilità di se stessi si realizza senza tensioni d'egoismo. Terminata la scuola dell'obbligo, ì ragazzi hanno a disposizione un credito bastante a pagargli ancora tre anni di studi; per la spesa delle classi successive possono ricevere prestiti a vario titolo, ma nessuno li consiglia di non interrompere lo studio. Lunghe vacanze I cittadini ricevono periodica documentazione del « Fondo » personale accumulato presso lo Stato (ritenute sugli stipendi più crediti non utilizzati per gli studi) e possono usarne liberamente fino a due terzi: questo comporta la possibilità d'un ritiro temporaneo dal lavoro senza dover rinunciare al reddito abituale, e anche e i una riduzione progressiva i a a e o e e , o n i , n i . n o i e e i l à o aalo n- dell'orario d'ufficio o di fabbrica per adattarsi in modo graduale alle abitudini della pensione; simile varietà di comportamenti consente pure a coloro che hanno preferito abbandonare un lavoro di riprendere un'occupazione a qualsiasi età. Le ferie sono di sei settimane, ma soltanto tre possono essere usate nel corso dell'anno (e c'è un premio in denaro o in giorni « extra » se le vacanze non coincidono con i mesi di luglio e agosto); il resto è accumulato e diventerà un lungo perìodo di tempo libero. L'orario massimo di lavoro è di 40 ore settimanali, ma ciascuno ha il diritto di ridurlo a 35 e di negoziarne le variazioni stagionali; nelle grandi città — dove i tempi di spostamento sono lunghi — è preferito l'orario più ridotto, accordi locali consentono forme molto varie di flessibilità dell'«arco d'impegno » giornaliero, settimanale, annuale. In molti Paesi sono stati già adottati principi di « flessibilità» (la stessa clausola contrattuale delle « 150 ore » ne è un esempio, per quanto riguarda l'Italia), ma la mitica società della libera scelta immaginata da Rehn è ancora una patria da trovare. Non è comunque casuale che questa teoria — pur ricevendo suggerimenti e ispirazioni da studiosi di altre nazioni, come Milton Friedman, Clark Kerr, Selma Mushkin. Juanita Kreps — abbia avuto qui a Stoccolma una sua storia organica, l'elaborazione completa delle varianti: la Svezia è la più ricca società d'Europa, ma il prezzo che gli svedesi pagano per questo primato è molto alto; la tensione psicologica e lo stress che accompagnano la necessità d'un reddito elevato motivano ampiamente il bisogno della liberazione. La flessibilità, più che una scelta, diventa la formula della sopravvivenza. In un rapporto commissionato dal Parlamento al più noto psichiatra svedese, il dottor Hans Lohman ha descritto il suo Paese come una società terribile, disumana, che impone ai cittadini il sacrificio della loro salute mentale obbligandoli a lavorare sempre più duramente per poter mantenere lo standard of life. E' il problema di tutti i Paesi industrializzati, ma qui la « corsa del topo » appare più tragica ed evidente; una sor- i ta d'obbligo morale trascina uomini e donne a trasformare ambizioni individuali in un dovere sociale, il privilegio di lavorare consente la sopravvivenza all'interno del sistema ma comporta la rinuncia d'ogni scelta liberatoria. Il conformismo è una necessità, la freddezza dei rapporti una disastrosa conseguenza della fatica fìsica e della tensione emotiva: «Abbiamo creato per i nostri figli un mondo estremamente freddo, una società che odia l'infanzia », scrive Lohman. Rehn respìnge questa « legalità», propone la rottura delle regole sociali, la scoperta e l'invenzione d'una nuova solidarietà. Il pragmatismo svedese ha saputo dominare il progresso tecnologico, in Palme ha trovato l'uomo che « non ha paura dell'utopia »: l'avvenire dovrebbe vincere sulla paurosa vicinanza del « 1984 ». Ma forse qui occorre qualcosa di più, quello che Fourier chiamava « l'accordo affettuoso dei padroni ». E questo né Palme né Rehn possono inventarselo. Mimmo Candito »jaii(ii.wi«»MiWiWiiiw»W ÉÉ8 MM8 1| 9 ^ J Kyruna. Immagini del lavoro in Svezia: una mensa di minatori nel Nord (Foto Mauro Vali inotto)