Nelle industrie semidistrutte già si lavora mentre continua lo sgombero delle materie di Giuseppe Mayda

Nelle industrie semidistrutte già si lavora mentre continua lo sgombero delle materie Il grande sforzo del Friuli per risollevarsi dal disastroso terremoto Nelle industrie semidistrutte già si lavora mentre continua lo sgombero delle materie A Gemona nessuna si è salvata, ma i sintomi di ripresa sono già evidenti - "Occorre rimetterle in piedi e farle funzionare se vogliamo salvare il Friuli", dice un consigliere comunale - Nei 39 comuni distrutti c'è uno sforzo enorme per ricostruire il maggior numero di case prima dell'autunno - Un magazzino di materiale edilizio distribuisce gratuitamente laterizi a chi li richiede (Dal nostro inviato speciale) Udine, 24 maggio. Novantadue scosse telluriche in diciotto giorni: la terra trema ancora, nel Friuli e nella Carnia. Soltanto venerdì scorso 21 maggio — per la prima volta dalla «notte della grande paura» — i sismografi dell'osservatorio geofisico di Trieste, collocati nel fondo della Grotta Gigante, sull'altopiano carsico, sono rimasti immobili per ventiquattr'ore; poi la terra ha ripreso a sussultare: sabato due scosse del quarto grado della scala Mercalli, alle 7,07 e alle 10,59, hanno svuotato nuovamente Udine e riportato l'angoscia nei paesi disastrati; domenica ancora due scosse della stessa potenza sono state registrate all'1,51 e alle 3. Anche la lista delle vittime non è definitiva; ieri mattina sono deceduti negli ospedali due feriti di Venzone, Gioachino Madrassi ed Anna Foladore, e il numero dei morti è salito così a un totale di 938: 908 nella provincia di Udine, 30 in quella di Pordenone. Purtroppo questo bilancio non si fermerà qui. Nei 39 comuni distrutti dal terremoto e negli altri 78 danneggiati più o meno gravemente i sindaci hanno già terminato la triste conta dei morti, le pietose cerimonie dei riconoscimenti, i frettolosi funerali nelle fosse scavate dalle ruspe in aperta campagna (Maiano 130 morti, Osoppo 103, Forgaria 76, Venzone 46, Buia 45, Magnano in Riviera 37, Artegna 33, Montenars 30 e via via fino a Tricesimo, la cui unica vittima, Teresa Sabot, cinquantacinquenne, è stata uccisa dal crollo del campanile mentre usciva dalla chiesa di Santa Maria della Purificazione) ma è rimasta una cittadina che non è ancora in grado di dire, neppure approssimativamente, quanti siano i suoi morti, i suoi feriti, i suoi dispersi. E' Gemona del Friuli, 12.500 abitanti. Adagiata su una dolce e verdissima collina alla sinistra del Tagliamento, nello sfondo delle Prealpi Carniche i , e , , , e e e , a l à i a o e e e e a n , o e a a i a e e i e a ze la a l ci d e e al centro di una zona sismica definita di primo grado, ha ricevuto in pieno l'onda sussultoria del terremoto e la violenza è stata tale che nelle strade i passanti sono stati scaraventati a terra. In un solo colpo la scossa ha distrutto il centro storico sulla sommità di Gemona e dove vivevano dalle 6 alle 7 mila persone: il quartiere, lungo un chilometro e largo 500 metri e compreso fra via XX Settembre, via Artico di Prampero, via Liruti, via Bini, piazza Garibaldi, piazza Del Ferro, e via Carlo Caneva, è stato trasformato in una distesa di macerie, di case pericolanti, di torri abbattute, di muri in bilico dove non sono ancora neppure giunte le squadre degli scavatori e dove i tecnici avanzano cautamente, la testa protetta dall'elmetto, la bocca coperta dalla mascherina sanitaria. Recintata col filo spinato, guardata a vista notte e giorno da pattuglie armate di carabinieri e di soldati, questa zona di Gemona conserva ancora il proprio terribile segreto. Quanti saranno i morti del cinema «Sociale», della «Pizzeria napoletana», dei due bar, delle vecchissime case a portico di via della Cella? Quella tremenda sera, al «Sociale», la sala non era molto affollata, proiettavano un film di fantascienza, «2001 Odissea nello spazio»: la scossa di terremoto fece fuggire gli spettatori, alcuni furono sepolti dal cedimento del soffitto, soffocati e uccisi tra le poltrone, ma anche quelli che raggiunsero la strada non riuscirono a salvarsi perché vennero travolti dai crolli delle case vicine. «Purtroppo non è finita — mormora il sindaco Ivano Benvenuti — altre salme verranno portate alla luce. E' uno stillicidio crudele, un nome dopo l'altro. Li conoscevo tutti». Quante? «Forse anche qualche centinaio» risponde il consigliere comunale Antonino Zuliano, direttore didattico di Gemona. I morti accertati fino a questa sera ammontano a 361, un terzo del bilancio totale del Friuli e della Carnia; i feriti sono oltre 400. L'elenco delle vittime è appeso a un muro scrostato del municipio provvisorio ad Ospedaletto, ma spesso, fra i nomi di bimbi di donne di vecchi di giovani, si legge una annotazione agghiacciante: «Cadavere sconosciuto; ignorasi sesso». Dalla lista dei dispersi ieri è stato depennato un nome, quello dell'esercente Eliseo Forgiarmi. Per diciotto giorni, sulla porta di una casa semidistrutta di via della Cella, era rimasto appeso un foglio di carta bollata scritto a pennarello e che diceva: «Vi preghiamo di dare notizie di Forgiarmi Eliseo, 55 anni, proprietario del bar "Ai pioppi". Non sappiamo nulla di lui dal 6 maggio». Forgiarmi, la notte del terremoto era ricoverato all'ospedale vecchio; alla prima tremenda scossa saltarono i tralicci dell'alta tensione, la cittadina piombò nel buio, ma nel nosocomio funzionò un gruppo elettrogeno: a quell'unica e fioca luce Forgiarmi fu visto aggirarsi, con una coperta sulle spalle, fra i 400 e più malati che fuggivano nel giardino davanti all'edificio urlando e piangendo, impazziti dal terrore. Per diciotto giorni i parenti lo hanno cercato dappertutto; già la speranza di rivederlo vivo si andava affievolendo quando, ieri, è stato ritrovato: lo avevano portato con una autoambulanza all'ospedale di Portogruaro, per lo choc non aveva saputo dire chi era. Dopo il calcolo delle vite perdute e salvate, quello degli averi. I pesanti e dolorosi conti di Gemona cominciano dagli edifici. Le case distrutte e da demolire (qui non è rimasto che un balcone, là due muri pericolanti, più oltre uno stabile svuotato dal tetto alle cantine come se fosse stato colpito da una bomba) sono 2600; altri 300 dovranno essere sottoposti a perizia e 170 soltanto appaiono passibili di ripristino. Del centro storico, un'area di quasi 500 mila metri quadrati, si salveranno il Duomo e il municipio; tutto il resto verrà abbattuto con la dinamite e con le ruspe. Le sedi dell'Inps, dell'Inani, della Comunità montana, l'ufficio postale, la direzione didattica e la stessa stazione ferroviaria sono andate perdute. L'ospedale vecchio — che accoglieva 150 pazienti, 100 vecchi e 270 malati di mente — dovrà essere raso al suolo. L'ospedale nuovo, costruito vicino alla ferrovia, è un imponente edificio verde di sette piani del costo di 10 miliardi. Appare intatto, ma se si sale sul tetto si vede che la tremenda scossa tellurica lo ha «scollato» nel centro, aprendovi una fenditura larga mezzo metro: un'ala dovrà quindi essere demolita, l'altra verrà riportata in equilibrio con un complesso impiego di martinetti. La scuola media non c'è più, il 92 per cento delle aule per elementari è inagibile «La popolazione scolastica di Gemona — dice il direttore didattico — è di 3850 unità, la leva annuale è di 150 bambini. Se si scelgono subito le aree le nuove scuole, anche prefabbricate, potranno essere pronte in ottobre». Il consiglio comunale, aperto alla cittadinanza e che si tiene regolarmente all'interno della cupola pressurizzata di nailon, dono di un gruppo di studenti di Bergamo, dibatte soprattutto sul futuro delle tendopoli e sulla ripresa del lavoro nelle fabbriche. I senzatetto di Gemona sono calcolati oggi in 11 mila 200 (su un totale di 70 mila dell'intera regione). L'orientamento generale è che ad autunno nessuno dovrà più essere nelle tende, né — si sostiene — abitare in ba. racche. La soluzione, che le industrie di Gemona hanno già adottato per moltissimi loro dipendenti, è quella delle «roulotte»; tuttavia, nell'attesa che sia la popolazione a decidere spontaneamente, l'amministrazione civica sta compiendo un grosso sforzo per la ricostruzione o il ripristino del maggior numero possibile di case. Il consiglio ha deciso di creare un magazzino di materiale edilizio (mattoni, calce, tegole, ferro, legname in genere, piastrelle, elementi di impianti sanitari) e lo distribuisce gratuitamente a chiunque lo richieda: nel deposito, che riceve continuamente rifornimenti da ogni parte d'Italia (stamane sono giunti da Pisa quattro autotreni carichi di laterizi), un tecnico del comune, dopo un semplicissimo accertamento, consegna tutto quello che occorre Se il terremoto ha colpito le vite e gli averi della popolazione di Gemona non ha risparmiato le aziende edili, le industrie metalmeccaniche e del legno. «Non una si è salvata, sono tutte a terra — dichiara l'assessore Giuseppe Gubani —, ma i sintomi di ripresa sono evidenti e confortanti». Al mobilificio «Fantoni» è stata riattivata una catena di montaggio; lo stabilimento «Filare» (fili per saldature elettriche), che sorge al confine tra i comuni di Gemona e di Osoppo, dovrà essere demolito; tuttavia i macchinari sono già stati trasferiti in tre nuovi capannoni e dei 70 dipendenti una ventina badano alla produzione, mentre gli altri lavorano allo sgombero delle macerie; la «Contessi» (cucine componibili) conta di riprendere l'attività fra un mese assieme alla «Manifattura Gemonese» (filati) che impiega 400 dipendenti, in larga maggioranza donne: la sera del 6 maggio i cento operai del turno di notte furono sorpresi dal terremoto nel pieno del lavoro, otto morirono, dodici rimasero feriti. «Sono buoni sintomi — sostiene il consigliere comunale Zulian, mentre le prime luci si accendono nelle tendopoli a valle — ma bisogna far presto e, prima di ogni altra cosa, prima ancora direi delle scuole stesse, occorre rimettere in piedi le fabbriche, farle funzionare e produrre. Perché dopo il terremoto un altro grave pericolo minaccia non solo Gemona ma tutto il Friuli: quello di perdere le industrie. Il friulano, purtroppo, è abituato ad emigrare: se non ci sbrighiamo a dargli un lavoro se ne va e queste nostre aziende moriranno per mancanza di manodopera». Giuseppe Mayda Osoppo. La tendopoli trasformata in casa: si spera per poco tempo (Foto « La Stampa », C. Pellegrino)

Persone citate: Anna Foladore, Contessi, Fantoni, Gioachino Madrassi, Giuseppe Gubani, Ivano Benvenuti, Maiano, Mercalli