Oggi costerebbe oltre 13 mila miliardi rendere "quasi" pulito il nostro mare di Bruno Ghibaudi

Oggi costerebbe oltre 13 mila miliardi rendere "quasi" pulito il nostro mare Se si volesse attuare il dispositivo della legge Merli Oggi costerebbe oltre 13 mila miliardi rendere "quasi" pulito il nostro mare Invece nel 71, la spesa si aggirava sui 5250 miliardi: 1900, per il completamento della rete fognante; 750 per il trattamento degli scarichi civili e circa 2600 per quelli industriali Roma, 22 maggio. Depurare dell'80 per cento gli scarichi inquinanti, costerebbe, già oggi, una cifra variabile fra i 13 mila e i 13 mila 750 miliardi. Ma prima che le opere necessarie siano state completate, il costo sarà ulteriormente salito. Secondo una stima fatta dagli esperti, nel 1971 la spesa si aggirava sui 5250 miliardi, così suddivisa: circa 1900 miliardi per il completamento della rete fognante, circa 750 miliardi per il trattamento degli scarichi civili e circa 2600 miliardi per il trattamento degli scarichi industriali. Per ricondurle ai valori attuali, queste cifre devono però essere moltiplicate per 2,5 o addirittura per 3. Con le dovute approssimazioni, questa è la spesa che la comunità dovrà sopportare se vorrà attuare in pratica il disposto della legge Merli, approvata dal Parlamento e che enuncia le nuove norme per la tutela delle acque dall'inquinamento. Un merito obiettivo di questa legge è quello di avere eliminato una situazione assurda come quella preesistente e che vedeva le competenze per le acque confusamente distribuite fra quattordici ministeri e una quarantina di organi locali diversi. La maggior parte dei compiti, nella nuova situazione creata dalla legge, spetta invece alle Regioni, che dopo aver redatto i piani regionali di risanamento delle acque, dovranno apprestare anche le strutture per il controllo degli scarichi e degli inquinamenti. Degli scarichi in acque interne e nel suolo o nel sottoscuoio, abbiamo già detto. Gli scarichi in mare sono invece j regolati dall'articolo 11, che li I subordina all'autorizzazione del capo del compartimento marittimo interessato. Tale autorizzazione è naturalmente subordinata all'osservanza, da parte del richiedente, delle prescrizioni, dei limiti e degli indici di accettabilità previsti dalle tre tabelle di valori. Abbiamo esaminato le varie possibilità con il pretore Gianfranco Amendola, il magistrato che da anni si occupa di questi problemi, e dal discorso sono emerse alcune carenze di fondo che lasciano piuttosto perplessi. «Se si tratta di scarichi industriali già esistenti alla data del 1" gennaio 1975, si è punibili se non si richiede l'autorizzazione o se il suo rinnovo non avviene nei termini stabiliti oppure se non si osservano tutte le prescrizioni indicate — ha spiegato —. Ma è facile prevedere che, data l'assenza di strutture tecniche e l'inesperienza delle capitanerie di porto, le autorizzazioni si intenderanno quasi tutte concesse per scadenza dei termini, per cui non vi sarà nessuna prescrizione: basta cioè presentare la domanda ed è probabile non rischiare nulla. Tanto più che un regime "intermedio" di carattere generale, è previsto dall'articolo 25 solo ad opera delle Regioni o degli Enti lodali, e la capitaneria dì porto non è un ente locale. Per coloro che sono imputati oppure sono già stati condannati in modo non definitivo per inquinamento di acque marine è sufficiente, per far dichiarare l'estinzione del reato, richiedere nei termini stabiliti l'autorizzazione o il suo rinnovo. Possono cioè continuare tranquillamente ad inquinare, a meno che non ricevano un'autorizzazione con prescrizioni specifiche». Per gli scarichi urbani esistenti, il dottor Amendola ha ricordato che se essi non sono autorizzati o se l'autorizzazione non viene richiesta, la legge non prevede alcuna sanzione. Si arriva addirittura all'assurdo che in pratica non convenga neppure richiedere l'autorizzazione poiché si rischia di dover rispettare le prescrizioni del provvedimento (obbligo penalmente sanzionato) oppure di vedersi respinta la domanda. E anche quando, fra tre anni, entrerà in vigore la tabella C (meno restrittiva), i limiti in essa contenuti non saranno obbligatori sotto il profilo penale. Infatti la sanzione scatta solo per mancata presentazione della domanda di autorizzazione o della mancata sospensione dello scarico dopo la reiezione della domanda o la revoca dell'autorizzazione. «Per i nuovi scarichi, industriali o urbani, la tutela penale è più completa, poiché è vietato aprire nuovi scarichi senza autorizzazione — continua Amendola —. Questa disciplina esclude però quasi totalmente l'autorità giudiziaria dal controllo della normativa in quanto, tranne i casi di assenza d'autorizzazione, l'applicazione della legge dipende esclusivamente dalle capitanerie di porto». Bruno Ghibaudi

Persone citate: Amendola, Gianfranco Amendola

Luoghi citati: Roma