È maestro della grafica lo scultore Marino Marini di Marziano Bernardi

È maestro della grafica lo scultore Marino Marini È maestro della grafica lo scultore Marino Marini Torino ha il privilegio di ospitare nelle sale della « Promotrice » al Valentino la mostra di tutta l'opera grafica — acqueforti e litografie dal 1914 ad oggi — di Marino Marini, uno dei tre o quattro scultori italiani che hanno fama in tutto il mondo. La mostra, che è stata realizzata dal Museo di Monaco di Baviera in coincidenza col settantacinquesimo compleanno dell'artista pistoiese e fa a Torino la sua unica tappa italiana prima di trasferirsi a Berna e di lì in alcuni altri Paesi, offre uno spettacolo imponente presentando ben 180 acqueforti, acquetinte, puntesecche, e 140 litografie, in nero ed a colori. L'accompagna il catalogo completo della grafica mariniana, sintesi delle tante pubblicazioni che già esistono su questo argomento. E' appunto il catalogo che ci fornisce la più ovvia documentazione di un fatto talvolta lasciato in ombra dalla luce di celebrità internazionale della scultura del Marini: le prime tre acqueforti elencate, La guerra del 1914, Donna seduta, I costruttori, sono degli anni 1914-15, sorprendenti immagini d'un ragazzo poco più che tredicenne e prova che l'inizio della sua attività artistica fu la pratica disegnativa, pittorica ed incisoria, non la scultura, malgrado l'alunnato presso Domenico Trentacoste all'Accademia di Belle Arti di Firenze e l'eccezione di alcune teste allora modellate. Ricorda infatti Alfred Hentzen nella prefazione al catalogo (Graphis Arte. Toninelli Arte Moderna, L. 15.000) che « negli ultimi anni della prima guerra mondiale e successivamente, Marino svolgeva la sua attività prevalentemente come pittore e disegnatore... Però nei quadri dei suoi Anni Venti si rispecchia molto più che nelle acqueforti un interesse per la forma plastica ». Comunque la sua prima scultura nota è, salvo errore, la Bagnante, terracotta del 1926; e nota l'Hentzen che durante il soggiorno parigino del 1928-29 « avvenne la sua definitiva conversione alla scultura come reale mezzo espressivo della sua arte, anche se la pittura non fu mai abbandonata ». Questa precisazione ci sembra importante non soltanto in relazione con l'attuale mostra torinese, ma perché è un tuyau (come dicono i francesi) per arrivare alla miglior comprensione della plastica del Marini, che tradisce sempre, malgrado le corpose Pomone e le sintesi formali dei Cavalli degli Anni Quaranta (quei cavalli tondeggianti alla « Gattamelata »), il primo amore per l'espressione pittorica. E, del resto, abbiamo un'esplicita confessione dell'artista stesso nella prefazione della sua cartella di litografie a colori, From Color to Form, del 1969: « Ho sempre sentito il bisogno Ji dipingere e non inizio mai una scultura senza aver prima indagato il suo significato pittorico... Il dipingere è connaturato in me, come un'esigenza incontenibile ed originaria a cercare il colore. Non esiste opera plastica che non sia passata prima attraverso questa esperienza ». Affermazione inconcepibile per Michelangelo, che, se mai, l'avrebbe capovolta. Questa reciprocità di suggestioni pittoriche e plastiche, statuarie e grafiche, percorre l'intera opera — duplice, e forse di pari importanza nelle due manifestazioni — di Marino Marini, accentuando via via col tempo lo « spontaneo ed entusiastico movimento della linea », a scapito del rapporto formaspazio. Il parallelismo è evidente nella mostra. Prendiamo ad esempio il tipico tema mariniano del « Cavaliere ». Fin verso il 1945-50 il soggetto, sia esso espresso graficamente, o pittoricamente o sculturalmente, conserva, pur nella sua volumetria arcaica (si sa quanta influenza abbiano avuto sulla immaginazione dell'artista i moduli etruschi e della Cina antica), un aspetto che — per intenderci — si può definire naturalistico; e ricordiamo in proposito le mirabili versioni del Gentiluomo a cavallo (1937), del Piccolo cavaliere (1946), del Cavaliere 1947 (edizione in legno, collezione Agnelli; edizione in bronzo, Tate Gallery, Londra), cui fanno puntualmente riscontro linguistico acqueforti e litografie (queste ultime a partire dal 1942) visibili nella mostra. L'idea grafica va di pari passo con l'idea plastica, gli scambi si compenetrano a vicenda. Ma la miglior conferma dell'accennata reciprocità l'abbiamo con l'acquaforte L'idea del 1950. Qui l'immagine, ridotta a semplice contorno lineare che abolisce il senso dello spazio, diviene puramente frontale, il volume si appiattisce, scompare la forma tridimensionale, e già abbiamo una riduzione emblematica di quello che poi sarà il tema del Miracolo, cioè la caduta di Saul convertito, significante nella sua astrazio¬ ne e geometrizzazione le ansie e i terrori del tempo nostro. Quasi contemporaneamente, ecco il Cavaliere del 1951, con l'animale cubistizzato nella sua volumetria, irrigidito sulle quattro gambe, con l'uomo che scivola dalla nuda groppa agitando le braccia ridotte a moncherini, le stesse braccia cortissime e come diramate alle estremità in una strana fioritura, dei due cavalieri nella litografìa del 1951, Chevaliers et chevaux, bordure verte. E' l'addio di Marini alla forma naturale, fatta eccezione per i bronzetti di danzatori e giocolieri ed alcuni ritratti, come al solito stupendi per espressività. Comincia la serie dei Miracoli e dei Guerrieri in cui rappresentazione equina e rappresentazione umana assumono aspetti e movimenti assolutamente irrazionali, divengono simbologie astratteggianti, ondeggiano tra saltuarie condiscendenze picassiane e più tarde inclinazioni verso una specie di informalismo plastico pietrificato in grandi masse qua-, si amorfe. Questo cammino che ha tanto allontanato l'artista dal realismo dei suoi meravigliosi ritratti (un realismo però ancora intatto nelle immagini di Henry Miller, di Mied van der Rohe, di Henry Moore, di quest'ultimo decennio) è perfettamente leggibile, fino alla litografia Bunter Reiter dell'anno scorso, d'un insuperabile squillo cromatico, nella mostra odierna. La quale assume così anche un valore di testimonianza dell'evoluzione di un eccezionale artista, a nostro personale giudizio ancora discutibile in certe sue realizzazioni sconcertanti e persino irritanti, ma sicuramente interprete geniale di un mondo che cambia anche in quelle convinzioni estetiche che parevano (ma forse sono...) incrollabili. Marziano Bernardi

Luoghi citati: Berna, Cina, Firenze, Londra, Monaco Di Baviera, Torino