Risorgerà Tarcento la "perla" del Friuli

Risorgerà Tarcento la "perla" del Friuli Risorgerà Tarcento la "perla" del Friuli (Dal nostro Inviato speciale) Udine, 18 maggio. * Tarcento era la perla del Friuli e tale tornerà a essere questo l'impegno assunto dall'avv. Enzo Maria Gioffrè, sindaco di Tarcento, nei confronti dei lettori de La Stampa che, pur continuando le proprie iniziative di aiuto alle popolazioni colpite dal sismo, affianca l'opera della Regione Piemonte per la ricostruzione di alcuni centri del Friuli. A Tarcento abbiamo portato oggi un secondo aiuto di 50 milioni (il primo era stato di 20), altri milioni sono stati distribuiti a San Daniele, Ragogna e Forgaria (30 milioni per ciascun paese); a Rive d'Argano (20 milioni). Anche queste cinque località sono state adottate dal Piemonte che ne seguirà da vicino la rinascita così come altre regioni italiane patrocinano le restanti zone in cui è stato suddiviso il Friuli per dare efficacia e razionalità alle iniziative di ripresa. Sempre oggi inoltre abbiamo portato 20 milioni a Lusevera, piccolo comune praticamente cancellato dal terremoto al quale abbiamo voluto donare la solidarietà dei lettori così come abbiamo fatto finora e faremo anche nei prossimi giorni raggiungendo le località più diverse, molte delle quali non hanno ancora ricevuto aiuti concreti. Il nostro viaggio è cominciato oggi da Tarcento. Un tarcentino ignoto, forse un poeta, ha creato l'immagine per cui questo paese che si adagia nella valle scavata dal Torre è conosciuto nel mondo come la perla del Friuli. Le sue case bianche e pulite sono incastonate fra le Prealpi e le colline moreniche che digradano a semicerchio disegnano quasi una grande conchiglia. Da qui la denominazione, che è un lusinghiero biglietto da visita ma che non dice tutto di questa cittadina oggi sconvolta dal terremoto. Tarcento ha origini antichissime. Il suo nome appare per la prima volta in iscrizioni del Mille. Sulle sue colline sorsero castelli da cui si guardava fino alla valle del Tagliamento. Mille morti La sola famiglia Francipane ne possedeva tre, due del quali furono distrutti nel corso di lotte fra parenti; il terzo fu incendiato dai contadini che si ribellarono al castellano. Era il giovedì grasso del 1511. Nel giugno dello stesso anno, i ruderi franarono sotto l'aggressione di uno spaventoso terremoto, lo stesso che distrusse anche il castello di Udine, sconvolse il volto di Gemona, Venzone e Cividale, provocando mille morti. Lo descrive anche Gian Domenico Ciconi, in un volume sulla storia della provincia di Udine: le affinità con il sismo del 6 maggio sono agghiaccianti. Dell'ultimo castello Francipane rimasero in piedi (e rimangono) pochi resti. I proprietari scesero a valle, abitarono in case patrizie che costituirono il primo nucleo di Tarcento. Uno degli edi- flci accoglieva il palazzo comunale ora trasferito in baracche di lamiera sotto alberi ombrosi. Il recupero del palazzo è difficile, cosi come si teme siano andati perduti per sempre caratteristici angoli della città vecchia, irripetibili profili architettonici nel rincorrersi di portici, balconi e tetti addossati gli uni agli altri quasi per sostenersi a vicenda, il terremoto non ha avuto pietà. Oltre il settanta per cento delle case è inabitabile; tutti gli edifici pubblici sono pericolanti; perduti per sempre chiese e brevi campanili occhieggianti tra il verde. Danni alle fabbriche. Città ricca « £' stato un colpo durissimo per Tarcento », commenta II sindaco Gioffrè, barba lunga, occhi arrossati di chi dorme poco e male la notte (brontolìi sordi dal sottosuolo tengono in continua apprensione, soprattutto quando comincia a fare buio) e di giorno deve dare il buon esempio, lavorando per salvare il salvabile. Tarcento all'inizio di questo secolo era città ricca e Industriosa. Aveva filande, mollnl e aziende per la distilleria dei vini; fortunata anche la parentesi turistica, con ospiti che venivano soprattutto da Udine e da Trieste. Poi le industrie hanno perso competitività, le distillerie sì sono allontanate e l'arrivo dell'automobile ha portato i turisti verso zone più lontane: Tarvisio, La Carnia, Lignano. A Tarcento resta ora solo la festa della friulanità, che si celebra il giorno dell'Epifania con cortei storici, consegna di riconoscimenti a friulani benemeriti e accensione di pignarui, cioè falò dal quali si trae l'auspicio per l'annata. Il maggiore, piagnami grant, arde sulla collina di Cola, dirimpetto al ruderi del castello Frangipane. Nella notte si accendono mille fiaccole di speranza. Nessuno ricorda cosa abbia detto il falò dello scorso 6 gennaio. O meglio non lo vogliono ricordare. La gente cerca di medicare subito le sue ferite e restituire a Tarcento il volto pulito, quello che per secoli si è specchiato nelle acque smeraldo del Torre. Dalla perla del Friuli a Lusevera. Si sale tra le Prealpi Giulie, si va fino ai piedi del Musi, accompagnati dalla vista del Chlampon. sul cui versante occidentale si adagiava Gemona Vecchia. Lusevera è stata feudo dei Frangipane, ma soprattutto paese coccolato da Venezia. L'atteggiamento della Repubblica marinara però non era disinteressato: gli abitanti di Lusevera e delle frazioni sparse a varie quote, fino al passo di Tanamea, al confine jugoslavo, dovevano dare l'allarme durante eventuali invasioni e fornirle legname per le navi. Oggi il paese non esiste quasi più; capoluogo e frazioni sono ridotti a pochi agglomerati di case. Gli abitanti sono 1100; in venti anni si sonc ridotti più della metà. "Viviamo di agricoltura e di emigrazione », dice il sindaco Sergio Sinicco. "La Stampa» ha portato i primi aiuti concreti a questo paese, le cui frazioni di Cesariis, Pers e Muris sono state rase al suolo. Dall'alta valle del Torre di nuovo a Tarcento e di qui verso San Daniele. Passata la statale per Tarvisio, attraversiamo il Friuli più martoriato. Buia e Maiano sono sotto una cappa di polvere. Le ruspe rimuovono le macerie. Dove fino al 6 maggio c'erano villaggi e borghi tipici con porticati e pareti di pietra grigia, ora ci sono larghi spazi vuoti, isole deserte in mezzo al verde del campi da dove la gente aspetta di attingere fonti di sopravvivenza. Il paesaggio è cambiato. Restano vecchi castelli a indicare le varie località. Ovunque distruzione. Ma ci sono anche fabbriche dove si è ripreso a lavorare. Il viaggio è lento, fra tendopoli e case pericolanti. Infine San Daniele. Qui, come ovunque, ci si muove con disagio. « Cinque morti, novecento case da abbattere o già crollate', è il primo quadro che ci fa II sindaco Enzo Filippuzzi. Ai più distratti San Daniele, adagiata su un colle in umanissima posizione, ricorda forse soltanto il prosciutto o al massimo le pantofole (quest'ultimo settore dà lavoro a oltre ottocento persone). Ma San Daniele ha anche ricchezze culturali inestimabili, forse perdute per sempre. La biblioteca guarnieriana è irraggiungibile. Le macerie sono franate a ridosso delle porte e non è possibile aprirle. Da San Daniele, la Seina del Friuli (è così chiamata perché — si dice — ci si parla il friulano perfetto), si va verso Ragogna, dove portiamo un primo aluto dei lettori; da qui al Ponte di Pinzano per salire a Forgarla, paese della destra Tagliamento che ha voluto restare con la provincia di Udine quando c'è stata la creazione della provincia di Pordenone. Ragogna, 3100 abitanti, non lamenta vittime, ma molti danni al patrimonio abitativo. Sono 76 invece i morti che si piangono a Forgaria (220 abitanti). «Su 1200 case — calcola II sindaco Giovanni Cedolin — // 95 per cento è inabitabile'. C'è bisogno di tende (almeno 150) e di materiale sanitario. Il lavoro da fare è molto. L'aiuto della Stampa è accolto come un segno di buon auspicio. 'Dite grazie al vostri lettori». Gratitudine anche a Digitano (2600 abitanti) e a Rive d'Argano (2500 abitanti). Qui i danni sono meno gravi che altrove. La mano data dalla Stampa consentirà una ripresa immediata. 'Stiamo già lavorando' assicurano i sindaci. Le ferite da rimarginare sono tante e profonde, ma il Friuli ce la farà ancora una volta. Renato Romanelli