Forse il fratello di Mesina ucciso aveva un segreto nel portafogli di Remo Lugli

Forse il fratello di Mesina ucciso aveva un segreto nel portafogli Orgosolo: si cerca una spiegazione al feroce delitto Forse il fratello di Mesina ucciso aveva un segreto nel portafogli Gli assassini l'hanno preso lasciando il portamonete con il denaro - Tutti dicono che la vittima era soltanto dedita alla famiglia e al lavoro, ma è possibile che conoscesse qualcosa che non doveva conoscere - La telefonata di Grazianeddu dal carcere (Dal nostro inviato speciale) Orgosolo, 14 maggio. Il cimitero è a gradonate con una grande scalinata al centro. La bara di Nicola Mesina è stata calata in una fossa dell'ultimo settore, quello più in basso e lungo la scala s'affollava tutto il paese. Un «morto tragicamente» in più. Alla sua sinistra c'è una lapide che dice: «Floris Antonio Mario 1908-1950 ucciso dalla mano assassina lasciando la famiglia addolorata». Quanti sono nel cimitero di Orgosolo i defunti di morte violenta? Tanti, un numero incalcolabile. Un tempo le croci erano tutte di legno e le epigrafi raccontavano il modo del decesso; ora il legno è scomparso, sostituito dal marmo e molte epigrafi recano soltanto le date. Come il paese si è rammodernato, come sono state costruite tante case nuove e molte sono in costruzione, così anche il cimitero ha cambiato volto, testimonia di un certo benessere dei vivi. Un morto in più e due assassini ignoti in più. Polizia e carabinieri hanno interrogato molte persone, buona parte dei venticinque operai che si trovavano nel cassone del camion sul quale viaggiava, in cabina, con l'autista e un altro caposquadra, anche Nicola Mesina. Nessuno ammette di avere visto i due banditi che con le armi fecero fermare l'automezzo e ordinarono ai tre della cabina di scendere e di mettersi a terra, proni. I banditi erano incappucciati, tuttavia il riconoscimento sarebbe forse possibile attraver¬ so la sagoma della corporatura, il modo di muoversi. Ma nessuno ha visto, nessuno parla; è ovvio, hanno paura e ne hanno motivo considerato che da queste parti s'usa ammazzare coloro che non sanno tacere e poi gli si taglia la lingua (fecero così anche con Giovanni Nicolò Mesina, il primo «morto tragicamente» della famiglia, nel novembre '62). Si stanno interrogando anche i componenti delle famiglie che in passato si trovarono in posizione avversa ai Mesina: Muscau, Floris, Puddu, Carraine. Senza alcun esito, naturalmente. Il delitto lascia perplessi gli inquirenti e la gente di Orgosolo. Qui, di solito, chi ha un conto da regolare lo regola vigliaccamente, aspettando la sua vittima nascosto dietro una siepe, le spara e fugge sapendo di non essere stato visto. Ieri mattina i due banditi che hanno ucciso Mesina, seppure a viso coperto, hanno affrontato un camion carico di ventotto persone. Hanno voluto compiere una esecuzione di fronte a tutti, hanno cioè voluto dare un esempio, una dimostrazione di forza. Con grave rischio, tra l'altro: non di essere denunciati alle forze dell'ordine, perché gli orgolesi non lo farebbero anche se fossero sicurissimi della loro identità; ma di essere denunciati al clan della vittima, il che può significare il pericolo di una vendetta. I fratelli di Nicola certo non si sporcano le mani: Grazianeddu che potrebbe farlo, è rinchiuso in carcere, Salvatore, Giuseppe, Antonio, Pietro hanno famiglia, sono dediti al loro lavoro, vogliono star fuori da queste vicende tragiche. Ma ci sono i parenti stretti, gli amici fidati che magari agiscono di loro iniziativa. E' possibile che fra qualche tempo abbiano a suonare di nuovo le campane a morto. Il vescovo di Nuoro, Giovanni Melis, ben conoscendo questo pericolo, all'omelia della messa funebre, nella chiesa gremita ha detto: «Non v'è nulla che possa giustificare la violenza fino all'omicidio. Smettiamola di cercare una vendetta, una sopraffazione, sforzatevi di deporre ogni sentimento di odio, seguite il Vangelo che dice "ama il prossimo tuo come te stesso"». Si cerca di capire il perché di un delitto simile, di una così brutale dimostrazione di forza. Sono in maggioranza coloro che escludono si debba ricercare la causa in un vecchio regolamento di conti. Nicola Mesina, lo si è scritto ieri, era stato invischiato, assieme ai fratelli Pietro e Giovanni Nicolò, nella vicenda del rapimento e dell'uccisione di Pietrino Crasta il cui cadavere era stato trovato in un loro pascolo. Ma ne era uscito, seppure per insufficienza di prove, e dopo avere scontato in due tempi circa tre anni di reclusione. Anche poco probabile pare la tesi di una vendetta per un torto subito ad opera di Graziano Mesina che è in galera ormai dal '68. Resta l'ipotesi di un fatto recente. E che cosa può essere successo, visto che Nicola era, a detta di tutti, polizia e carabinieri compresi, soltanto dedito alla famiglia e al lavoro? Che fosse compromesso in una faccenda di riciclaggio di denaro proveniente da sequestri? No, no, dicono tutti, non c'è dubbio. E allora? Aveva forse fatto uno sgarbo a qualcuno, era venuto a conoscenza di qualcosa di compromettente, aveva visto, aveva sentito ciò che non doveva? I due assassini, dopo avergli sparato alla schiena e alla tempia destra e dopo aver fatto ripartire il camion con i suoi occupanti, hanno tolto di tasca alla vittima il portafogli, lasciando però il portamonete che conteneva il denaro. Mesina portava con sé qualche annotazione? La famiglia dice di non saperlo, sa soltanto che in tasca al cadavere non c'era più il portafogli, basta. Stamattina in paese circolava la voce dell'arrivo di Graziano Mesina dal carcere di Lecce. C'era molta attesa, ognuno si passava là notizia. Grazianeddu effettivamente aveva chiesto di poter essere accompagnato ad Orgosolo e pare che il suo giudice di sorveglianza fosse propenso a concedergli il permesso; il divieto sarebbe venuto da Nuoro, forse dalla magistratura, preoccupata dell'ordine pubblico. Verso mezzogiorno il fratello Antonio ha telefonato al carcere per parlare con Graziano e il direttore si è fatto lasciare il numero. Poco dopo Graziano Mesina ha chiamato. Antonio gli ha chiesto: «Hai sentito?». «Sì, ho sentito, non me l'aspettavo. Non per Nicola, non se lo meritava». «Sei calmo?» ha chiesto ancora Antonio. «Sì, sono calmo». «Il permesso non te lo hanno concesso?». «No, hanno avuto paura. Me lo vogliono dare dopo». «E tu?». «No, dopo non ci vengo». Remo Lugli

Luoghi citati: Lecce, Nuoro, Orgosolo