La mafia dei sequestri nega, attenua e sfuma di Vincenzo Tessandori

La mafia dei sequestri nega, attenua e sfuma Per i rapimenti Torielli e Montelera La mafia dei sequestri nega, attenua e sfuma Interrogato Guzzardi, accusato di sequestro di persona e falsa testimonianza - All'epoca dei fatti, era fidanzato con la figlia dei custodi di Villa Torielli, che poi sposò • Misterioso taccuino (Dal nostro inviato speciale) Milano, 13 maggio. Ammettere il meno possibile; rendere il proprio racconto accettabile anche per un tribunale del Nord e dargli una qualsiasi patina di credibilità; quando non è possibile negare tutto, tentar di sfumare il proprio ruolo, relegare la propria figura ai margini del grande mosaico messo pazientemente insieme dagli inquirenti. I punti fondamentali su cui poggerà la difesa dei «presunti rapitori» e «presunti mafiosi» saranno questi e stamani se ne è avuta una prima, esplicita conferma. E' stato ascoltato Michele Guzzardi, personaggio non secondario nella vicenda del rapimento e del pagato riscatto dell'industriale Pietro Torielli, di Vigevano. Suo compito, è spiegato nell'istruttoria, era di stabilire e possibilmente mantenere i contatti con i rapitori. «Ruolo che mi venne chiesto dallo stesso signor Torielli, il padre del rapito, e che io accettai mal volentieri» ha ripetuto anche stamani il giovane. Al giudice istruttore gli indizi non erano sembrati fragili e aveva rinviato a giudizio questo uomo d'onore per concorso in sequestro di persona e falsa testimonianza. Uscito dal carcere al termine della carcerazione preventiva, Michele Guzzardi è stato inviato in soggiorno obbligato all'Asinara. Stamani è stata un'udienza estenuante, anche se non lunga. Guzzardi ha ripetuto il racconto fatto ai magistrati inquirenti, preoccupato di non slittare fuori dal tracciato, attento a correggere le situazioni, a fare aggiunte, a dare spiegazioni supplementari. Si è seduto davanti al presidente, ha accavallato le gambe e incrociato le mani sulle ginocchia e, con disinvoltura, ha cominciato a parlare: linguaggio appropriato, frasi precise, vocaboli scelti accuratamente, con le pause al punto giusto e gli accenti esatti, con un'unica scivolata al momento di dire «baule». All'epoca della vicenda, Guzzardi frequentava la villa dell'industriale, era fidanzato con la figlia del custode, Giancarla Ferri. Poi si sono sposati. «Quella sera del 18 dicembre 1972, quando venne rapito il signor Torielli, arrivai alla casa verso le 21. C'era preoccupazione, per l'assenza del figlio. Io me ne andai verso luna. Del rapimento seppi l'indomani mattina, dalla radio». Premuroso, il giovane si mise comunque a disposizione di Pietro Torielli senior per qualsiasi evenienza. Seguirono i giorni dell'attesa. Una sera, il 30 di quello stesso mese, il fatto nuovo: i fidanzati uscirono in auto, diretti verso Milano. Non fu una passeggiata tranquilla. All'altezza del bivio per Gaggiano, una «Mini» affiancò l'«Alfa» di proprietà di Guzzardi. Era il contatto con i rapitori, inatteso, ha sottolineato il giovane. «Fui costretto a fermare», ha ripetuto oggi, ma su questo punto la sua versione si discosta sensibilmente da quella della ragazza che, nel corso dell'istruttoria, raccontò come il fidanzato avesse sostato spontaneamente dietro la «Mini», «dopo che gli occupanti di questa gli avevano fatto cenno di fermarsi». La contraddizione non è sfuggita al pubblico ministero, Gianni Caizzi, e neppure alla difesa: l'avvocato Michele Catalano è stato pronto a consegnare una serie di certificati medici dai quali risulta che le condizioni di Giancarla Ferri all'epoca dovevano essere poco meno che catastrofiche. La giovane, insomma, soffriva di una crisi depressiva-ossessiva. «Questo mira a gettare il dubbio su tutte le deposizioni successive della teste» ha ribattuto il p. m. Il racconto è proseguito: la consegna della lettera con la prima richiesta di riscatto, le nuove attese, l'appuntamento per la consegna del riscatto al quale Guzzardi doveva andare con la moglie di Torielli, i contrattempi dovuti alle precarie condizioni di salute della donna. Vittima, o poco meno, Michele Guzzardi ha lamentato anche che il giudice gli abbia attribuito la proprietà di un taccuino sul quale, fra l'altro, figura un nome, Lucchese, che richiama alla mente un altro sequestro. «Non è stata fatta la perizia grafica. Non è mio, comunque, e non posso quindi avervi scritto». Il p.m. ha chiesto: «Se non è suo, allora di chi è, visto che è stato trovato in casa di sua madre, dove lei abitava?». «Non lo so». La difesa ha poi tentato di dimostrare come Michele Guzzardi non possiera una lira, tanto che nel periodo della sua detenzione sua moglie aveva dovuto ricevere aiuto dall'Eoa e da altri enti. Guzzardi è povero, quindi estraneo a un sequestro che ha fruttato un miliardo e 250 milioni. Vittima se non altro di circostanze sfortunate dunque, Guzzardi, al termine della deposizione, ha elevato formale protesta per le «condizioni disumane» di vita alle quali è costretto in questi giorni: «Non ci è consentito di prendere una boccata d'aria. Appena usciti dall'aula ci portano in albergo e ci chiudono nelle stanze. La chiave l'abbiamo noi, ma è come se l'avessero altri. Dobbiamo anche pranzare in camera». Alla protesta si è unito Salvatore tigone. Per alcuni minuti è stato il caos o quasi. La difesa chiedeva la revoca delle misure cautelative, il presidente del tribunale, Angelo Salvini, faceva presente di non poterci far niente, poi ha parlato dell'orario di lavoro. A questo punto si è alzato il padrino. E si è fatto silenzio. «Chiediamo che ci portino un po' da bere, tè, caffè o acqua minerale, non chiediamo di più. E possiamo continuare le udienze fino a quando volete». Vincenzo Tessandori

Luoghi citati: Gaggiano, Milano, Vigevano