Lavoro di gruppo nelle campagne per avere un po' di tempo libero

Lavoro di gruppo nelle campagne per avere un po' di tempo libero Agricoltura oggi, inchiesta sulla vita dei contadini Lavoro di gruppo nelle campagne per avere un po' di tempo libero Non sempre è il desiderio di guadagno che spinge i coltivatori verso la fabbrica - Nulla è più umiliante per un giovane di arrivare in paese col pacchetto delle scarpe di ricambio perché quelle che indossa sono infangate Insufficienza del reddito o dell'ambiente, colpa di un troppo piccolo podere o della chiusa società paesana? Lo spopolamento delle campagne è stato di volta in volta attribuito a questa o quella causa. Come sostiene il sociologo Corrado Barberis, sono ancora frequenti, nelle inchieste agricole, i questionari in cui al contadino inurbato si chiede se, a determinare la partenza, sia stata la cattiva remunerazione del lavoro, l'eccessiva fatica, o le carenti infrastrutture domestiche e civili. Quasi non fossero, tutti, indici d'un unico sottosviluppo; quasi che le cause che impediscono all'acqua di uscire calda dal rubinetto non fossero, in definitiva, le stesse che impediscono agli agricoltori di controllare i prezzi delle proprie derrate. Fondamentale, dunque, è il ruolo secondario in cui l'agricoltura è stata lasciata per anni, ed anche oggi, malgrado le molte affermazioni di principio, che non vanno oltre il muro della buona volontà. Questa è la protesta generale di tutte le categorie che si occupano d'agricoltura; ciascuna, poi, aggiunge i suoi lamenti particolari: i grandi proprietari non trovano manodopera e pagano troppo caro il denaro; i salariati non sopportano la scarsità di tempo libero e temono per l'insicurezza del posto di lavoro; i coltivatori diretti, infine, portano sulle spalle, insieme, i pesi delle due categorie precedenti, in quanto sono sia imprenditori e proprietari del terreno, che lavoratori. Con questo doppio fardello, come hanno affrontato, o subito, l'esodo agricolo? Negli anni più bui della crisi, ai coltivatori diretti meno preparati e ,>iù poveri doveva apparire invidiabile la condizione del salariato dipendente, perché essi avevano in più l'onere di una proprietà (piccola, frazionata) che, prima d'andarsene, dovevano pur vendere. Barberis cita un episodio accaduto in una cittadina toscana, dove all'inizio del '62 fu chiesto se le terre poste al di là d'una certa collina fossero ancora coltivate. La risposta fu che i contadini se n'erano andati tutti. « Ma proprio tutti? », insistè il visitatore. « Tutti i mezzadri; i coltivatori diretti sono rimasti: quelli non possono partire, sono padroni ». Ma non tutti i coltivatori diretti sono poveri e sprovveduti, o sfortunati, come quelli dell'aneddoto. E se è vero che se ne sono andati i meno capaci, i meno preparati ad affrontare tempi duri e continue innovazioni, la conclusione è chiara: sono rimasti i migliori. Senza scomodare i sociologhi, allo stesso risultato è pervenuta la « tavola rotonda » organizzata dalla Stampa (pubblicata nella pagina agricola il 1° maggio). Due cifre, innanzitutto, per poter valutare il peso determinante dell'azienda diretto-coltivatrice nell'agricoltura piemontese: su un totale di 287 mila aziende (le cifre sono arrotondate), 274 mila sono di coltivatori diretti, cioè il 95 per cento; le stesse aziende forniscono il 90,7 per cento di tutta la produzione agricola piemontese, lorda vendibile cioè 405 miliardi su 446. Chi è rimasto in agricoltura (ad eccezione degli anziani) lo ha fatto per scelta personale, non perché gli sia mancata la opportunità di trovare un lavoro in fabbrica: lo affermano i coltivatori diretti Aldo Viale di Borgo San Dalmazzo (Cuneo), Eusebio Pollo di Casale Monferrato, Sergio Panizza di San Michele (Alessandria). Questo ultimo è stalo addirittura protagonista d'un esodo alla rovescia: ha fatto per qualche tempo il macellaio (con ottimo reddito), tornando poi al lavoro agricolo. Del resto non sembra essere il desiderio d'un maggior guadagno a spingere il coltivatore verso la fabbrica: unanimamente è stato riconosciuto che per non anelare la città bisogna poter vivere in una abitazione civile e accogliente. Racconta Aldo Viale: « Conosco gente che ha preferito la fabbrica perché viveva in case dove si vergognava ad invitare gli amici ». Lo conferma Natale Carlotto, direttore della Federazione Coldiretti di Cuneo, il quale ricorda il successo riscosso tempo fa da una loro iniziativa, che poteva anche sembrare infantile: l'operazione « tendine alla finestra ». E' servita a sensibilizzare gli uomini e ad istruire le donne: non sempre si può avere una casa nuova, ma spesso si può rendere più accogliente quella che c'è. Chi si trova ogni giorno a contatto con i coltivatori afferma che spesso ci si dimentica dell'aspetto sociale, dell'uomo, sacrificato ai miti — necessari ma non sufficienti — della «produttività», dei «terreni fertili», dell'«irrigazione», della «meccanizzazione», dei «prezzi». Perché i giovani stanno malvolentieri in campagna? Di motivi, negli ultimi 20 anni, se ne son trovati tanti. Carlotto coglie con un'immagine il senso di mille disagi: « Nulla è più umiliante, per un ragazzo, arrivare in paese dagli amici con il pacchetto delle scarpe di ricambio, perché quelle che indossa sono infangate ». Il senso di inferiorità scompare quando, oltre alle case accoglienti, ci sono strade asfaltate. Ma per andare con gli amici, al cinema o in vacanza, bisogna avere tempo libero. Ecco un'altra pressante esigenza del mondo agricolo, sulla quale gli anziani (meglio dire i non più giovani) sono disposti a passar sopra, ma che le nuove generazioni rivendicano con forza. Eusebio Pollo dice: « Non sappiamo che cosa siano le vacanze ». Il bestiame mangia tutti i giorni, in azienda lavora da solo con la moglie: 365 giorni all'anno, senza una sosta. Lo stesso capita ad Aldo Viale. Un po' meglio sta Sergio Panizza, perché cura l'allevamento insieme con un fratello e conduce i terreni con dei parenti; nell'azienda ci sono anche due salariati fissi, con i quali i datori di lavoro si alternano nelle ferie e la domenica. Carlo Gottero, vivaista di Rivoli, attivo organizzatore del sindacalismo agricolo, afferma che la soluzione adottata spontaneamente nell'Azienda Panizza è quella che dovrà diffondersi, per concedere al coltivatore qualche pausa di libertà. Si tratta dell'«agricoltura di gruppo», spiega il direttore della Federazione regionale della Coldiretti Gianfranco Tamietto, che si può organizzare tra parenti o tra abitanti della stessa zona, per lavorare insieme o per sostituirsi durante le assenze temporanee. Gottero afferma che in Piemonte ci sono delle esperienze di questo genere, copiate dalla Francia, ma che la Regione non le finanzia. Si dice sicuro che qualcosa del genere dovrà affermarsi in tutte le campagne italiane, perché « non la nostra generazione, ma la prossima certamente, non si adatterà a una schiavitù di 365 giorni l'anno ». Pierangelo Balzardi, direttore della Federazione torinese, è dello stesso parere: «All'agricoltore oggi bisogna dare tempo libero, ci tiene più che al forte guadagno ». Cita il caso dei pastori, che rie scono a mettere da parte discre- ; te somme: « Ma più nessuno vuol fare quel mestiere, isolalo dal mondo sei mesi l'anno ». Secondo Tamietto, il coltivatore sente anche, molto forte, il senso dell'imprenditorialità. Aggiunge Remigio Bermond, direttore della Federazione di No¬ aesP. | ' vara: « Un esempio l'abbiamo avuto nelle zone risicole, dove i veri imprenditori non hanno esitato a chiudere le stalle per buttarsi sul riso, con tutti i rischi della monocoltura: hanno avuto ragione loro, oggi il riso rende bene ». Ma chi non fa il risicoltore, chi vive in altre province, come se la cava in questi tempi difficili? Gottero: « La nostra risposta all'aumento dei costi è stato l'aumento delle ore di lavoro ». Balzardi: « In campagna c'è meno consumismo, si svende soprattutto per le cose essenziali ». Viale: « Si vive con poco, c'è gente che con sole quattro, cinque vacche qualche anno fa è riuscita a comperarsi un alloggio da 10 milioni ». Livio Burato prepara una coltivazione a pomodori (Foto « La Stampa », operatore Piero De Marchis)

Luoghi citati: Alessandria, Borgo San Dalmazzo, Casale Monferrato, Cuneo, Francia, Piemonte, Rivoli