Addio Cagliari di Antonio Ghirelli

Addio Cagliari Addio Cagliari ^^^^^ ^ ^ La volata finale del campionato può ancora serbarci molti colpi di scena, anche se probabilmente più in coda che in testa, dove la Juve affronta a Bologna un ostacolo non disprezzabile, mentre II Toro dovrebbe teoricamente sbrigarsi senza eccessiva difficoltà, nel segno della sua inesorabilità casalinga, del povero Cagliari. Quella del Cagliari, comunque vada domani al Comunale, è In ogni caso una storia conclusa, una delle più negative e patetiche che ci offra la stagione 1975-76. Con la rotta di Como la squadra dell'Isola ha visto scomparire anche l'ultimo fumo di speranza che la teneva legata, piuttosto come un sogno che come un ancoraggio, al suo felice passato. La fotografia più lacerante della settimana non è quella di Chinaglia — che con la sua Innocente e ottusa protervia vagola nella carlinga dell'aereo diretto a New York, come un astronauta subumano, una specie di incrocio tra la cagnetta Leika e il colonnello Armstrong — ma piuttosto l'altra, quella che ritrae Gigi Riva appollaiato su una scaletta del « Rigamonti » in malinconica contemplazione dei suol colleghi annientati dal martellamento del Como. Due amari epiloghi f,onmeno8Sda; sei anni dal giorno in cui, conquistando lo scudetto e offrendosi in generoso trapianto alla Nazionale messicana, il Cagliari di Glggi accendeva l'immenso falò dell'entusiasmo del piccoli sardi, fuori e dentro l'isola. In meno di sei anni squadra gioco società si sono letteralmente dissolti come un perfido miraggio e di quel falò restano soltanto pochi anneriti ricordi. E anche Chinaglia, del resto (questa storia così malamente, così volgarmente conclusa] non rientra nello stesso discorso? Sia Mina che Arpino se ne sono occupati su queste colonne partendo da posizioni divergenti e tuttavia entrambi con qualche solida motivazione. Certo Arrlno ha ragione quando scrive che « Long John » era diventato insopportabile: basti pensare al gesto stupidamente provocatorio che si e permesso di compiere domenica scorsa, quando la Lazio è passata in vantaggio grazie all'autogol di Claudio Sala. Ma ha ragione anche Mina quando sostiene che è stata la Lazio come club ad intossicare lentamente, con la sua Irresponsabilità e I suoi errori, con il permissivismo del presidente e il gretto opportunismo dei suoi collaboratori, a corrompere il cuore di un ragazzo semplice e generoso come un puledro. Un congegno che tiene "aar„ alla situazione di splendida incertezza che domina, nella dirittura finale, non solo il massimo campionato ma anche quello cadetto: ancora una volta bisogna riconoscere che il congegno ha tenuto più che passabilmente sul piano spettacolare ed emotivo, senza tacere dell'incredibile funzionalità che l'organizzazione calcistica (nonostante le piccole o grandi sfasature di ogni giorno) continua ad assicurarci nel suo complesso, confermandosi come uno dei pochissimi punti fermi, una delle pochissime strutture razionali di cui il Paese disponga. Bisognerebbe forse riflettere su questo punto, anche se naturalmente molte considerazioni di ordine morale e finanziario, nonché l'intrinseca fragilità dei contenuti, contribuiscono sensibilmente ad attenuare il trionfalismo dell'ambiente. Il problema non e di dilatare grottescamente i significati di un'attività in fondo ancorata alla modesta oscillazione tra speculazione e divertimento; ma di capire perché l'organizzazione riesce a mantenersi compatta, nel contesto di un Paese nel quale tutti i raccordi sono saltati, tutti i punti di riferi¬ mento si dissolvono in una barbarica cupidigia di aitodistruzione. E' un piccolo miracolo. riiiA v'•>n ìr\n\ Senza pretendere di esauUUe rdgium rjre || problema, proverei a dare d'istinto una spiegazione. Forse il football resiste alla tempesta per due ragioni diverse ma concomitanti. La prima è di ordine storico: la sua articolazione, il suo regolamento, la sua logica sono tolti di peso da un mondo come quello anglosassone che ha per essenza appunto la razionalità, ossia una distribuzione precisa di compiti, un ferreo equilibrio tra diritti e doveri, una garanzia sostanziale di « equallty of chanches » di eguaglianza di opportunità per tutti i concorrenti. Pochi Istituti della società italiana offrono un grado simile di flessibilità, di rapidità e di efficienza. Questo non vuol dire naturalmente che l'ambiente nazionale non Infiltri I suoi veleni in seno all'organizzazione; ma che la Federcalclo è largamento mitridatizzata contro quei veleni dalla sua iniziale « organicità », cosi poco italiana. L'altra ragione che, sempre secondo il mio debole parere, spiega la relativa allergia del nostro ambiente nel generale sfacelo dei valori, sta viceversa In un punto di forza interno al Paese. La gente ama, per il meglio e per il peggio il campionato. Ne afferra, sia pure a suo modo e magari distorcendolo, il significato; ne comprende II linguaggio e la logica. Per una singolare e provvidenziale coincidenza, il complesso meccanismo di origine britannica che regola la suddivisione del campionati in vari gironi e l'avvicendamento tra promozioni e retrocessioni, viene a identificarsi con due sentimenti molto forti nel nostro Paese: Il campanilismo e l'insaziabile sete di novità. L'uno deriva dalla nostra storia; l'altro scaturisce dal nostro temperamento impetuoso, superficiale, mobilissimo. Qualche anno fa lanciai uno slogan che non passò Inosservato. In Italia, scrissi, ci sono soltanto quattro cose serie: l'arma dei carabinieri, il benemerito corpo dei parroci, il partito comunista e la federcalclo. Mi pare che lo slogan non fosse del tutto sballato anche se si può nutrire qualche riserva (o apprensione) sulla tenuta del reverendi parroci. Resta il fatto che se l'apDarato fiscale o i trasporti, gli ospedali o le scuole funzionassero come il campionato di calcio, con la sua puntualità e regolarità, ma anche la sua vitalità irresistibile, saremmo invidiati anche dalla Svezia e dalla Germania occidentale. Purtroppo non funzionano: e si vede. Il peso della moralità gytatec,hee schermo si delinei la sagoma di un giocatore inglese, tedesco, olandese, sovietico, per confrontarla istintivamente con quella di un suo collega italiano, spagnolo, sudamericano, e capire la differenza tra due tipi di società, cioè di moralità, che stanno dietro al campione sportivo come all'intellettuale o al burocrate. Il calcio è senza dubbio una forte struttura universale, ma al suo interno I contenuti vengono dalle diverse realtà nazionali. E qui non c'è « International Board » che tenga: ciascuno si piange i guai suoi. Prendete l'altra storia già penosamente conclusa, quella di Savoldi al Napoli. La fredda logica del gioco, che sta soprattutto nella sua assoluta imprevedibilità, si vendica del calcolo tra folle e malizioso di chi ha condotto l'affare. L'attaccante da due miliardi fallisce il proprio ambientamento tecnico e forse ancor più umano, nella nuova sede. A parità di rigori, il ragazzo bergamasco segna meno del veterano Clerici, che pure era stato incluso nell'affare come la voce più svalutata del contratto. Sembra niente, ma è una grande lezione di serietà. Antonio Ghirelli

Persone citate: Armstrong, Chinaglia, Claudio Sala, Clerici, Gigi Riva, Long John, Rigamonti, Savoldi

Luoghi citati: Bologna, Cagliari, Como, Germania, Italia, Lazio, New York, Svezia