Cinquant'anni di cronaca a colori di Domenico Bartoli

Cinquant'anni di cronaca a colori V A N D O N G E N E P A BIGI Cinquant'anni di cronaca a colori PARIGI, aprile. L'olandese Van Dongen, che ha raccolto le più significative delle sue opere in una grande mostra alla Galleria Charpentier, passa giustamente come il pittore della Parigi contemporanea. Si riconosce che altri pittori sono maggiori di lui, o addirittura che appartengono a un mondo più elevato e più nobile; ma si dichiara: t Nessuno ha rappresentato la vita di Parigi, i personaggi, gli ambienti dell'ultimo mezzo secolo come Van Dongen». Il valore documentario dell'opera è sicuro, il valore artistico è discusso. E' vero che non troverete molti dubbi o critiche sui quotidiani: le fame riconosciute godono quasi sempre di un'approvazione generica e conformistica. Ma, leggendo tra le righe, si capisce che dubbi e critiche sono diffusi. Lasciamo da parte, per le generazioni future, il giudizio definitivo su Van Dongen, e osserviamo la sua opera come documento della vita di Parigi tra la fine del secolo scorso e la metà di questo secolo. Ma di quale Parigi? Lo dice il pittore stesso col suo linguaggio chiaro e immediato in un quadro che si intitola appunto «Paris* e rappresenta una donnina bionda mezza sdraiata su un piccolo divano. La donnina ha la faccia dispettosa e antipatica, porta un abito da sera scollatissimo di pizzo nero; le gambe scoperte, il braccio destro alzato invitano o sfidano chi'guarda. Questa è la Parigi di Van Dongen, ai confini tra il gran mondo e il « demi-monde», tutta «champagne », feste, locali notturni e teatri, ma osservata con uno sguar do crudele e cinico. «Paris» è del 1924: a metà strada del lungo e lucroso viaggio di Van Dongen attraverso la società francese. Mi sembra che le cose migliori si trovi no prima, per esempio il bel ritratto di Anatole France vecchio, con la barba bianca e gli occhi bassi, straordinariamente somigliante a Bernard Shaw. Ma Anatole France e il famoso retore rivoluzionario Eappoport, anche Ini felicemente ritratto dal pittore, non appartengono al mondo di Van Dongen. Hanno, infatti, una cert arie* sdegnosa, che li stacca nettamente mdagli altri, sia dalle « peripatetiche» del 1909" come dai gran signori e signore di allora e di dopo. Risaliamo lentamente attraverso questi cinquantanni di pittura, alla ricerca di documenti assai più forti e caldi delle fotografie. Ecco la Parigi del '99 e del '900, le belle donne a passeggio per gli Ghamps Elysées, l'omnibus a cavalli di Place Pigalle, Mi stinguett che balla il valzer tra le braccia di un «apachei e rovescia indietro il busto seminudo, la testa dai capelli viola. Van Dongen è venuto nella grande città, ha lascia, to dietro di sé i paesaggi tra dizionali dell'Olanda, le opere dei primissimi anni, ed ha trovato il suo vero ambiente. Quante donne, talvolta nude e rappresentate con un realismo così spregiudicato da spaventare, in altri tempi, la giuria di un'esposizione, talvolta vestite o semivestite ; e quante giarrettiere di tutte le tinte, rosa, gialle, fiorite, colore «mauve», eccetera. Prima dell'altra guerra il «demimonde» prevale. Il gran mondo è appena sfiorato a Place Vendóme dove stazionano le vecchie automobili dal cofano monumentale, al Bois de Boulogne e in qualche ritratto. Per ora siamo ancora negli ambienti descritti con altra forza da Toulouse Lati' trec. Ma il pittore fa carrie ra e finirà per toccare le vette della società parigina, le grandi potenze del denaro e della moda. La «Bagnante di Deauvil le» (1920) ha già il costume corto e i capelli « à la garconne », e così quella di Biarritz. Sono le modelle abituali di ,Van Dongen che passano la estate al-mare, per riposarsi della stagione di Parigi :' più che modelle sono personaggi di una semisecolare oronaca mondana a colori. E* il dopoguerra, l'altro dopoguerra, il denaro facile, l'inflazione. C'é uno dei protagonisti di quei giorni che ancora sentiamo rimpiangere nei salotti : il conte Boni de Castellane, ritratto nel 1928, nell'ultimo anno, notate, della grande festa, alla vigilia del la depressione americana del '29. Il conte Boni de Castel lane era un dissipatore: di scendente, di una grande fa- simdaha« Pdue demni« ENtispe vo19grdsulancofamDtalesodrevtrrammEdctinngnilgmOrsrlsdttGsègcdnDmbbavlDdndTucCiidlratrii a a a l e a o , o e miglia, sposato a una ricchie- i i i e i a i r i i to , a . e aa e sima americana, una Gould, dava balli e ricevimenti che hanno fatto storia nel famoso « Palaia Rose » dell'Avenue du Bois. Aveva molto spirito e raccontano che ai visitatori della sua casa, giunto alla camera col gran letto matrimoniale, dicesse sospirando: « Ecco la cappella espiatoria ». Nel 1928 era rovinato da molti anni perchè la miliardaria, spaventata per tanto cinismo e tanta dissipazione, aveva voluto divorziare fin dal 1906. Ma era rimasto un grande personaggio del mondo parigino, famoso per le sue «boutades», ricercato per la sua conversazione. Un Bo ni de Castellane in frack, con lo sguardo ironico e la faccia altera, non poteva mancare nella mostra di Van Dongen. Una violenta sensualità, talvolta un aperto cinismo si leggono sui quadri del famoso olandese di Parigi. Una donna nuda, ma con le giarrettiere e le scarpe rosse e verdi, balla stringendosi contro un uomo in abito da sera. Grandi ali da angelo si aprono sulla schiena dell'uomo e infatti il quadro ha nome «L'angelo guardiano». E' una delle poche allegorie dell' esposizione e significa che, osservando la sua società, Van Dongen ha trovato in tutti e in tutte la dominante passione del sesso, angelo guardiano di ogni donna e di ogni uomo. Gli anni passano, non % più il dopoguerra, è già l'anteguerra, come adesso chiamiamo il decennio dopo il '30. Ora i ritratti di grandi figure mondane sono frequentissimi e occupano quasi interamente il pittore. Ecco l'Aga Khan, grasso,'lo sguardo un po' strabico dietro gli occhiali; è trattato abbastanza amabilmente: aveva più coraggio Goya davanti ai potenti del suo tempo. QuelPAga Khan è in abiti borghesi, con la gardenia all'occhiello, anglicizzante. Dieci anni più tardi lo stesso personaggio torna davanti ai pennelli di Van Dongen ma vestito nei costumi del suo paese, la giacca bianca accollata, il turbante bianco e verde in testa. Lo accompagna la moglie, sfavillante di gemme. Durante l'ultima guerra e l'occupazione tedesca Van Dongen dipinge meno, ma dal '46 in poi i clienti tornano a riempire il suo studio. Viene la principessa Trubetzkoy, alta, bionda, una delle bellezze dell'epoca; viene la baronessa De Cabrol con penne di uccello in testa e collane, orecchini, in concorrenza con la moglie dell'Aga Khan. Anche le celebrità dell'arte posano davanti a Van Dongen: Maurice Chevalier, in maglione azzurro, col cappello inclinato sull'orecchio, come sul palcoscenico, ma straordinariamente ringiovanito dal pennello adulatore; e il pittore Utrillo con la faccia da bevitore. Uno degli ultimi è il visconte De Rohan. Siamo lontani dai ritratti di Anatole France o di Boni de Ca< stellane. Non c'è più la penetrazione psicologica dei primi quadri ma l'abilità, la «routine». Non c'è più nem meno la crudeltà di allora La mondanità, che il pitto re credeva di dominare col svnlPmplcvtalssDplcpdp1 suo sguardo di cinico osser¬ vatore, lo ha preso e domi nato a sua volta. Van Dongen ha illustrato la penultima edizione di Proust, stampata da Gallimard'. Non c'è pittore più proustiano di lui. (Le noto e le impressioni per «A la recherete- du temps perdu» vengono dallo stesso ambiente che ha offerto i modelli all'olandese. Ma se la storia letteraria ha dato oramai il suo giudizio definitivo sullo scrittore, quello su Van Dongen non è stato ancora pronunciato dalla storia dell'arte. Bisognerà aspettare che la moda e la curiosità passino per concedergli o no di andare dalla Galerie Charpentier al Louvre. Domenico Bartoli

Luoghi citati: Olanda, Parigi