LA VEDOVA

LA VEDOVA LA VEDOVA Trentacinque anni di matrimonio: se il destino faceva le cose secondo natura, la prima ad andarsene sarebbe etata lei, visto che era la più anziana dei chie. Invece se ne andò lui, all'improvviso, una bella sera di primavera, sul terrazzo, mentre innaffiava i fiori. Non dovrebbe succedere che il tuo compagno ti lasci così, senza una parola, senza un messaggio supremo. Ma purtroppo succede. E il più doloroso, poi, per la vedova, fu il trovare nella scrivania di lui un mucchio di lettere di fresca data, firmate Lidia. Colpo duro, tanto inaspettato quanto crudele, che la disorientò. Con occhi annebbiati dal p;anto, ella lesse quelle lettere, pesando ogni parola. Non erano parole di passione, ma semplici parole di affetto, di gratitudine, di amicizia, ma già si sa che, in questo genere di corrisponza, l'amore mai uominato, vi aleggia sopra come Un velo invisibile e quello che è taciuto è assai più importante di quello che è scritto. Passata la prima sorpresa, ella telefonò all'ufficio e la ragazza, che era stata la segretaria di suo marito, venne all'apparecchio. — "Vorrei vederla, se fosse possibile — mormorò la vedova con un certo sforzo. — Venga da me al più presto, si tratta di cosa riservata. — Va bene, signóra, vengo subito. La vedova credette di notare un certo affanno nella sua voce e l'aspettò palpitando. Non che avesse dei dubbi su di lei. Intanto si chiamava Giulia è non Lidia e poi era così modesta, brut tina, così ostinatamente raf freddata ! E i suoi annetti li doveva avere. — Signorina — le disse la vedova quandi furono sedu te in salotto ed ebbero parlato, asciugandosi gli occhi, delle grandi qualità del defunto — ho trovato queste lettere e vorrei restituirle a chi di dovere. Lei conosce questa signorina Lidia e pò trebbe dirle di venire a pren derle da me? Sarei tanto cu ri osa di vederla. — Oh, signora — protestò la segretaria contorcendosi tutta agitata nella sua poltroncina — la signorina Lidia è una mia intima amica e io so tutì» di lei. Le posso giurare che non c'è stato nulla di male tra lei e il povero ingegnere, proprio nulla. Lidia è una buona figlino la molto timida, quasi selva tica, che quando s'è impie gata nel nostro ufficio, si è un poco smarrita. L'ingegnere, che era tanto buono, l'ha aiutata e protetta. Ecco tutto. Ma la loro relazione non è stata che un'amicizia pura e rispettabilissima, glielo posso garantire. — Ma ne sono sicura! — esclamò la vedova. — Perchè mi guarda con un'aria così spaventata? Che cosa crede? Che io faccia venir qui la signorina per farle del male, per ingiuriarla? Oh, veda di capirmi, cara Giulia. Quando si perde una persona cara, la più cara che si avesse, e si rimane soli, si provan delle cose che prima non s'immaginavano nem-meno. Vede, fi mio povero marito, da anni, non dimostrava più interesse per nulla. Badava ancora alle pianticelle del terrazzo e portava a spasso il 6uo cane, ma per pura abitudine. Per tutto il resto era già un morto. Ora scoprire che aveva un'amicizia, un affetto, un sentimento per qualcuno, ha destato in me un'emozione che non è bassa gelosia nè curiosità volgare, ma un interesse enorme per questo qualcuno, quasi che, conoscendolo, avrei la sensazione di prolungare ancora una imagine di vita del mio povero perduto. La prego, mi prometta che farà di tutto per persuadere la si gnorina a venire da me... La segretaria, turbata, promise e se ne andò in fretta. Ma dopo qualche ora telefonò con voce stentata che la signorina Lidia non voleva 6aperno "di presentarsi a lei. — Ha detto che delle lettere faccia pure quello ohe vuole. Non hanno importan «a. Le bruci, se crede. La vedova rimase come una assetata alla quale è 6ottrat ta brutalmente la bevanda verso cui già stendeva la mano. Ormai la sua vita era proprio un arido deserto, e con questo pensiero e con passo stanco ella andò a curvarsi sulla cuccia del cane, il quale, dalla morte del padrone, sembrava diventato decrepito e non voleva più mangiar nulla. — Tu devi vivere — gli disse con una specie di mesta passione — non devi lasciarmi del tutto sola! Ora che era riuscita a fargli prender cibo, lo comi liceva con se, verso sera, in qprvzdmct'fcsscgmisvrsttampcdplfnfiaalcftmscnsdPsadpmddnsrddi qualche sua solitaria e triste passeggiatola. Il cane, amorevolmente incitato, le veniva dietro docilmente, ma senza alcun interesse, con la coda e le orecchie appiattite, il muso verso terra. La vedova che ricordava l'allegro sventolìo di quella coda e di quel'e orecchie e quell'abbaiare festoso quando il cane usciva con l'idolatrato padrone, si sentiva stringere il cuore e subito, tornava a casa. Ma un giorno accadde qualcosa di miovo. Senza accorgersene ella si era insolitamente allontanata da casa, in un quartiere che le era sconosciuto e fu stupita di vedere a un tratto il cane rianimarsi come se risuscitasse a nuova vita e precederla tutto vivace. Lo chiamò per tornare indietro, ma dopo aver rivolto verso di lei il musetto intelligente, il cane proseguì il suo trotterellare con fare deciso, come chi sa dove vuole arrivare. Un improvviso sospetto nacque in lei che 6ì mise a seguirlo affannata. Entrò in un portone, salì due rami di scale, si fermò al mezzanino, mentre il cane raspava furiosamente a una porta che subito si aprì. - Oh, sei tu! — singulto la ragazza che aveva aperto chinandosi sulla bestiola che fulmineamente sparì nell'interno. La vedova, in quell'attimo, ebbe tempo di vedere un salottino ravviato, una vecchia signora in poltrona che leggeva con gli occhiali sul naso, e la ragazza che rispose al suo sguardo sgranando due spaventati occhi azzurri. Poi non attese altro, scese le scale e fuggì. A casa stette a lungo davanti al ritratto del marito, con le mani che premevano il suo cuore in tumulto. L'aveva finalmente vista quella Lidia, e ora chiedeva a lui che cosa avesse trovato in lei di tanto straor dinario. Una ragazza qtialunque, semplice e ordinata, nè bella nè brutta... Che cosa aveva? Aveva lo splendore irradiante della gioventù, disse una voce dentro di lei. E a quel fuoco lui era an dato a scaldarsi e a sognare in quella piccola casa, forse ogni sera, in quei suoi ultimi anni... ■ — Mi ha preso il marùto e ora mi ha preso anche il cane — singhiozzò amaramente la vedova- e qualcosa di arido, di duro, di disperato, le impedì per tutta qtiella notte lo sfogo del pianto. Ma la mattina dopo, appena sveglia, sentì alla porta il raspare furioso del cane. Gli aprì tutta contenta e lesse nel suo sguardo buono il messaggio che aspettava. — Sono tornato qui, perchè questa è la vera casa del padrone e perchè so che qui ha lasciato il suo cuore. Carola Prosperi

Persone citate: Carola Prosperi