L'assoluzione del gen. Carboni di Vittorio Gorresio

L'assoluzione del gen. Carboni IIm PROCESSO JPJSJ» UÀ MANO ATA. DIFESA BW ROMA L'assoluzione del gen. Carboni Romanzesche vicende dopo l'armistizio: organizzò bande in Abruzzo, tu cercato dai tedeschi, messo in salvo in Svizzera dagli americani; infine rifugiato a Soma in nn convento extra-territoriale Roma, 16 febbraio. Uno di questi giorni sarà re. sa pubblica la sentenza Istruttoria del processo per la mancata difesa della città di Roma nei giorni del settembre 1943. Date che la mancata, o la Insufficiente difesa della capitale, fu in quei giorni determinante della situazione generale creatasi in Italia, le conclusioni dell'autorità inquirente sono attese con l'interesse che meritano le questioni che dilettamente investono la storia e qui le anticipiamo in brevi termini. Accuse tremende Il Pubblico Ministero del Tribunale militare col. Veutro a suo tempo chiese l'assoluzione in istruttoria degli imputati, che sono: il gen. Carboni, allora comandante la difesa di Roma; il gen. Ambrosio, allora capo di Stato Maggiore generale; il gen. Roatta, allora capo di Stato Maggiore dell'Esercito; il gen. De Stefania, allora vice-capo di Stato Maggiore dell'Esercito; il gen. Calvi di Bergolo, allora comandante della Divisione motocorazzata Centauro; il gen. Utili, allora capo del reparto operazioni di guerra; il gen. Castellano, che fu il negoziatore dell'armistizio di CSflsiibile; il col. Salvi, allora capo di Stato Maggiore del Corpo motocorazzato, e 11 col. (Saccone, allora capo di Stato Maggiore della Divisione Centauro. Le accuse contro questi ufficiali, implicati in maggiore o minore misura nella drammatica vicenda, erano le più tremende che si possono appuntare contro un militare: per gli uni resa, per gli altri abbandono dcapaavvdndadd di comando di fronte al nemico, per altri ancora codardia. li col. Veutro manda tutti assolti, dichiara tutu gli imputati non responsabili degli addebiti che loro sono mossi, attribuisce le cause degli avvenimenti non solo alla notevole, sproporzione di uomini e di forze tra italiani e tedeschi nei giorni tragici dall'8 al 10 di settembre 1943, ma pure allo « scompiglio » che produsse il gen. Eisenhower quando decise la pubblicazione del- l'armiatizio 1*8 settembre, minacciando altrimenti dì denunciare al mondo l'Italia come mancatrice -ad un impegno firmato. La requisitoria fa notare che i soldati italiani dislocati intorno a Roma si batterono valorosamente lungo un fronte di 23 chilometri, lasciando in due giorni seicento morti sul terreno. Fa notare che- il Corpo motocorazzato al comando del gen. Carboni si battè con « dedizione e con efficacia » ; riconosce che la Centauro, comandata da Calvi di Bergolo, non si battè, ma in pari tempo attesta che « è anche vero che essa non venne mai a contatto con i tedeschi, e ogni ipotesi sul comportamento che avrebbe tenuto è solo una supposizione non controllabile ». Risulta, in conclusione, che i soldati italiani comandati alla difesa di Roma non furono nè codardi né disobbedienti agli ordini ricevuti. Risulta, essenzialmente, che la storia non dovrà mai più parlare della « resa », ma della « difesa » di Roma: e sia pur stata una d'fesa sfortunata. Ogni dubbio pertanto che potesse venire sollevato sull'appropriatozza della sentenza del giudice istruttore, dovrà venire considerato anche in funzione di questo punto fermo che si fissa per la storia, e non soltanto nell'interesse del generale Carboni e dei suoi collaboratori. Capobanda nell'Abruzzo Se' qui si parla di Carboni, in primo luogo, è perchè un seguito di circostanze è riuscito ad accentrare su di lui l'interesse maggiore, cosi come è avvenuto per Roatta nel corso del processo contro i responsabili del S.I.M. Troppo, del resto, il gen. Carboni ha fatto parlare di sè in questi ultimi anni perchè fosoc lecito aspettarci che la questione della difesa di Roma non lo mettesse in causa in primo luogo. Ora Si sa, da Indiscrezioni di amici e di giornalisti che si sono recati in questi giorni nel suo rifugio (un convento extra-te-i!toriale nei pressi di San Giovanni in Laterano, dove è anche stato fotografato in attesa di aspettare dall'assoluzione la possibilità di uscire dalla clausura) come a Carboni è stato dato di trascorrere gli ultimi tempi, quelli che vanno dall'armistizio alla requisitoria assolutrice del col. veutro. Subito dopo l'armistizio — che il Pubblico Ministero riconosce non voluto nè favorito da Carboni — il generale si rifugia prima in Abruzzo e quindi In Umbria, precisamente presso Spoleto. Organizzo, con elementi militari e del partito demolaburista, bande di patrioti, soggiornò tra la provincia e la capitale, avendo trovato a Roma ospitalità in casa di una nota signora piemontese che fu anche imprigionata perchè i tedeschi sospettarono che consentisse rfugio all'ex-comandante di Roma. Poi, liberata Roma, intervenne il Comando americano. Segno che il governo non avrebbe manca- iiif iiitiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii mi iitiiiiiiiiiiii«itini sto di ricercare Carboni per incriminarlo. Il servizio segreto americano mise in salvo Carboni prima presso il Quartier generale alleato a Caserta e quindi in Svizzera. Avendo in questo modo « l'uomo in mano », proposero al governo di mettere Carboni alla testa di un Corpo d'axmata italiano che doveva combattere a fianco degli alleati: la condizione però era che venisse accantonata la questione dell'inchiesta sulla resa o difesa della città di Roma, ed il governo italiano' rifiutò. Identico rifiuto, dal canto suo, aveva opposto anche il gen. Carboni, che non voleva che il suo comportamento nel tragico settembre fosse coperto da un compromesso. Diceva, fin da allora, di sentirsi certo in un pieno riconoscimento della Magi' stratura militare. Rimase in Svizzera, comunque, perchè 11 Comando americano intendeva servirsi della sua opera per quanto riguardava il campo delle Informazioni militari (Carboni nel settembre, oltre al comando del Corpo motocorazzato, aveva avuto anche la direzione del S.I.M.). La difesa dal convento Gli americani pensavano di poterlo fare rientrare in Italia con falso passaporto, perchè si incontrasse con il generale Taylor, un grande specialista di aviosbarchi: era allora allo studio l'operazione da compiere in Francia, e Taylor desiderava conoscere le possibilità di collaborazione per operazioni analoghe nell'Italia del Nord, ma qui intervennero gli inglesi, che non diedero il consenso per la utilizzazione de) geo. Carboni. Gli americani considerarono allora, anche in virtù del fatto che Carboni è figlio di una americana, che era opportuno trasferire il generale negli Stati Uniti: avrebbe potuto prendere la cittadinanza americana e ai parlò di utilizzarlo in campo diplomatico. Ma Carboni voleva una sentenza della Magistratura militare italiana e preferì iniziare una campagna giornalistica ohe si svolse in polemica vivace con alcuni scrittori di cose militari: della polemica furono pieni da ima parte o dall'altra, Risorgimento Liberate, La Voce Repubblicana, I/Europeo e il nostro stesso giornale. Cominciò verso la seconda metà del 1946, quando contro Carboni non era stato spiccato ancora un mandato di cattura, ma già in corso era un'inchiesta affidar ta al sottosegretario Palermo e al generali Ago e Amantea: giunsero, tante deposizioni contraddittoria che la commissione ani per esserne aggrovigliata nelle sue conclusioni — secondo quello che dichiara la requisitoria del col. Veutro— onde fu jéhle sta l'incrtminazione di Garbo ni e Roatta. In questo senso gli atti furono trasmessi — nel 1946 — si Tribunale militare Carboni intanto si era reso irreperibile, rifugiandosi in convento, e Roatta era fuggito dall'ospedale militare Vir gilio. In convento Carboni raccolse gli elementi che dovevano servire alla propria difesa e ili grazia ad essi potè condurre la sua polemica e pubblicare un volumetto intitolato * L'armistizio e la difesa di Roma - Verità e menzogne » Avvertiva comunque, e la denuncia contribuiva ad aumentare la drammaticità del suo caso, che ad opera di ignoti gli era stata rubata una cassa contenente documenti preziosissimi, atti a testimoniare il fondamento della sua difesa. Viveva intanto in pace, confortato dalle visite quotidiane delle sue sorelle, che giornalmente gli portavano il cibo. Si è dedicato, dice, con amore, agli studi e come accade ad alcuni dilettanti che hanno vestito l'uniforme, ha trasceso dal campo degli studi militari per attendere ad altri di altro genere. Poiché il convento dove è stato rifugiato è tra i più illustri e più antichi di Roma. Carboni dice infatti che si è dedicato ad uno studio approfondito delle opere d'arte che vi sono contenute. E' adiacente al convento una Chiesetta del quinto secolo; poi arricchita di opere cosmatesche e di affreschi di notevole valore. Nel convento c'è un chiostro ad arcatelle su colonnine binate, che è un'opera pregevole dei marmorari, romani. Ivi Carboni si è intrattenuto in questi anni con gli amici, prima cauti e guardinghi e poi via via più numerosi e sicuri: e questi lunghi ozii geniali hanno permesso al generale, cui si è fatta colpa di aver mancato di difendere Roma, di trasformarsi in archeologo e in storico dell'arte. Vittorio Gorresio Il generale (di fronte) convèrsa con un amico nel cortile del convento (Telefoto)