I problemi della disoccupazione di Pasquale Jannaccone

I problemi della disoccupazione I problemi della disoccupazione Tutto è problematico nel fenomeno della disoccupazione, cominciando dal suo concetto stesso. Lo riferiamo ordinariamente soltanto a lavoro che non ha e non trova un impiego remuneratore ; ma anche altri fattori economici — porzioni di ca dinbl'rrarvpitali e di terra, facoltà di- : inrettive ed organizzative di Inimprese — possono essere disoccupati, cioè non applicati e non applicabili, in un dato momento e su di un dato mercato, alla produzione di un reddito. Nulla vieta, naturalmente, di prendere in speciale considerazione la disoccupazione del lavoro, per le sue conseguenze sulle condizioni di vita di un gran numero di persone umane e sulla stabilità dell'ordinamento sociale; purché non si dimentichi che essa è un aspetto particolare d'un fatto più generale e non si trascurino le sue strettissime connessioni con l'occupazione degli altri fattori produttivi. Ma, pur limitato al campo del lavoro, il concetto di disoccupazione ha bisogno di altre precisazioni da parte di economisti, giuristi e statistici. Pei primi, la disoccupazione è sempre il turbamento di un equilibrio economico; e quindi essi cercano di definirne il concetto in relazione al concetto stesso di equilibrio. E poiché questo è, a sua volta, legato sia al concetto di un periodo più o meno lungo di tempo entro il quale certe forze economiche agiscono in realtà od in ipotesi; sia a quello di qualche altro complesso di condizioni da cui quelle forze sono governate o modificate .— la disoccupazione viene corrispondentemente distinta in temporanea, permanente, stagionale, ciclica, ecc., se riferita al tempo; oppure in disoccupazione di attrito, tecnologica, strutturale ecc., se riferita agli ostacoli alla mobilità del lavoro, ai mutamenti della tecnica, a variazioni profonde della domanda di dati beni o dell'assetto generale di certi rami d'industria. Ma se è compito degli economisti ricollegare il fatto della disoccupazione alle cause che la determinarono, altro è quello dei giuristi. Poiché l'essere « lavoratore disoccupato » è, in molti paesi, titolo al godimento di certe provvidenze sociali (assicurazioni, sussidi, distribuzioni gratuite — o quasi — di prodotti, preferenze all'assunzione in dati impieghi o addirittura assegnazione ad essi per atto di autorità) , i giuristi debbono distinguere tanti tipi di disoccupazione, o meglio di disoccupati, qualità sono, non le cause del fatto, ma le medi' cine che le leggi apprestano per lenirne i dolori e le cate gorie di malati cui ciascuna è specificamente destinata. Quindi, non ogni «disoccupato » in senso economico è sempre tale anche in sen so giuridico ; come può spes so accadere che il titolare di qualcuno dei diritti suaccennati non sia un vero « disoccupato » in senso economico, cioè un individuo cui manchi la possibilità di partecipare attivamente alla produzione c distribuzione del reddito sociale. Gli statistici, poi, dovendo fornire con le loro rilevazioni i dati nume rici necessari così ad econo misti teorici e pratici come a giuristi e legislatori,' deb bono utilizzare, per quanto è possibile, tutte le loro definizioni e distinzioni. Dal che segue che le cifre globali del la disoccupazione (come, d'altronde, quasi tutte le cifre globali delle statistiche) — essendo somme di unità eterogenee — dicono poco o nulla, salvo a chi sappia co me sono state raccolte e possa decomporle nei gruppi mi' nori, ma più omogenei, con cui sono state formate. Che, in un dato momento, un pae se abbia un milione di disoc cupati ed un altro quattrocento mila; o che, in uno di essi ed entro un dato inter vallo di tempo, i disoccupati siano cresciuti o diminuiti di centomila unità, sono tutte cifre di scarso significato in sà e malamente comparabili se, come quasi sempre acca' de, non è identica la defini zione di tutte quelle unitàE non è da scandolezzarsi se più rilevazioni contemporanee della disoccupazione in uno stesso paese diano cifre diverse, ad esempio tra un milione e due; che, anzi, ciò induce a ricercare quali ca tegorie siano state compre se e quali escluse, e per qua li ragioni, dai diversi organrilevatori. A capo, però, di ogni in dagine in materia, oggi Buole pone la distinzione frameadtlorcpocntlncdldcltmrctpvpasrvlrlemicdddmv disoccupazione volontaria ed involontaria, la quale sembra fondamentale sia sotto l'aspetto economico che giuridico. Infatti, possono dirsi realmente disoccupati — ed aver titolo alle provvidenze relative — soltanto gli individui occupabili (cioè non f inabili a qualsiasi occupazio ne) il cui lavoro non sia do i i i e e o a o i , , e e b è fie l mandato al salario corrente ; e non già quelli che, nella aspettativa o per la pretesa di condizioni migliori, rifiutino di lavorare col salario, l'orario, ecc., vigenti per gli occupati della stessa categoria nello stesso mestiere. Ma come può formarsi e come può durare una massa di dis occupati involontari sul mercato del lavoro? Questo è il nocciolo della questione. Le teorie classiche, fondate sull'ipotesi di un regime di ge nerale e perfetta libera concorrenza fra le imprese prò' duttive e dei lavoratori fra loro e nei rapporti coi datori di lavoro, negavano in fondo che una disoccupazione, volontaria od involontaria, potesse permanentemente formarsi e' durare entro un periodo lungo di tempo. La con correnza stessa avrebbe continuamente obbligato gli imprenditori ad assorbire lavoro, anche a scapito dei propri profitti; ed obbligato lavoratori puri (cioè non aventi capitali propri o ri spaimi accumulati) ad offri re lavoro, anche con salari via via decrescenti sino al limite di sussistenza. Le teorie socialisticbe-marxiste, al l'opposto, sostenevano che la esistenza di una schiera per manente di disoccupati era il prodotto fatale del regime capitalistico, delle sue crisi dei mutamenti dèlia tecnica dell'interesse degli impren ditori di tener sempre sotto mano una massa di manovra per servirsene nelle lotte della concorrenza industriale. Le teorie più recenti, accostandosi maggiormente alla realtà, considerano il sistema economico concreto come un regime di concorrenza imperfetta ed un concatenato succedersi di equilibri temporanei — entro periodi non troppo lunghi — un sistema diverso, quindi, tanto dall'ipotetico equilibrio generale e definitivo della concezione classica, quanto dalla ipotetica anarchia capitalistica della concezione marxista. In un regime siffatto una certa quantità di disoccupazione può formarsi e tramandarsi da un periodo all'altro, perchè è ben difficile che tutti i fattori da cui l'occupazione del lavoro dipende — la grandezza del reddito collet tivo, la domanda dei beni di consumo, l'efficienza dei capitali e del lavoro stesso, il saggio nominale e reale dell'interesse e dei salari, le prospettive dei profìtti, ecc. — siano sempre così proporzionati l'uno all'altro da con sentire che la domanda di la' voro assorba tutta la quantità che se ne offre. Il convegno di economisti e di industriali, che nei prossimi giorni si terrà a Napoli per trattare della disoccupazione, discuterà certamente gli aspetti teorici ed i riflessi pratici di tutti questi punti. Qui se n'è data soltanto una veduta generale, cui potrà seguire un più particolareggiato esame di taluno di essi Pasquale Jannaccone TcdnritcgsbsdpmpEcsspptasntdesivnprut'c

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