BERENSON E L'ARTE di Alberto Rossi

BERENSON E L'ARTE BERENSON E L'ARTE Confido che non me ne vorrà, l'illustre scrittore e conoscitore d'arte, se mi permetto di dire qui che la parola che più mi ha colpito, nel suo ultimo libro, non è cosa dovuta alla sua penna: ma una delle citazioni, da lui premesse al proprio testo in guisa di epigrafi. « Ceux qui n'aiment pas beaucoup la peinture «n elle-mème, attachent une grande importance aux sujets des tableau* ». E' una frase, confessiamolo, che tolta l'eleganza epigrammatica del dettato, non ha in sè niente di straordinario: sulla bocca di un qualche esteta contemporaneo, o difensore di movimenti a ine derni », non avrebbe di che colpire più del debito. Quel che le conferisce peso e suggestione, è la fonte donde proviene : un libro « ritto non oggi, nè ieri, ma più che cent'anni fa: e non da uno t specialista », da un qualche anticipatore di moderne estetiche, ma da uno scrittore, anzi da una scrittrice, « di tutto riposo » : insomma, da Madame de Staél 1 Qualcosa di simile aveva in mente Paul Valéry, allorchè sosteneva che il modo migliore di avvicinarsi alla pittura, e di « capire » un dipinto, era di guardarlo a tutta prima, di riceverlo nell'animo, nella sua alternanza di macchie colorate, senza preoccuparsi di quel che raffigurasse: (ma non, naturalmente, che a questo ci si dovesse arrestare). E anche lui non era certo sospetto di parzialità verso i « moderni ». Arrivava, tutt'al più, a Degas. Non mi è riuscito, tanti anni fa, di ricavare da Valéry le ragioni — se ve n'erano — di una sua asserita antipatia per Berenson. Chiestogli se fosse essa rivolta all'uomo o piuttosto allo scrittore, ne ebbi la secca risposta: 1 Je... ne distingue pas ». E più che mai la cosa mi rimane incomprensibile, in quanto si può dire che quei due, grandi ognuno in diverso campo, presentano tuttavia parecchi lati coma ni nella maniera del pensare: asistematici, scettici verso la filosofia professionale, aforistici nell'esprimersi, volentieri pungenti, « inclini per istinto ad affidarsi per la conoscenza a una intuizione immediata e profonda, alla adesione acuta, a un'opera come a un pensiero, piuttosto che allo sviluppo raziocinante. E ambedue poi, attaccatissimi al proclamato diritto di contraddirsi. Di un tale diritto — sarei inquieto, dice il Berenson, se sapessi di non contraddirmi mai — egli usa abbondantemente, almeno per quella sua teoria della < decorazione » e « illustrazione » che insieme con i « valori tattili » tanto contribuì, a suo tempo, a dargli fama, nel libro cui s'è accennato: e che esce ora in italiano prima ancora che nella sua lingua materna. (Bernard Berenson, Estetica Et^ca e Storia nelle Arti della Rappresentazione visiva. Versione dal manoscritto inedito di Mario Praz. Electa Editrice, Firenze). Sono 6essant'anni ormai da che il Berenson è in prima linea tra quanti si occupano criticamente delle arti figurative. E tuttavia la sua attività di scrittore è stata, nella sua quaBi totalità, di carattere storico ed espositivo. Ecco ora invece un libro dedicato tutto quanto, come già avverte il titolo, a questioni e discussioni teoriche, dove un poco tutte le questioni che hanno tratto alle « t *ti della rappresentazione vii ra» come egli le chiama, vengono toccate come attinenti alla creazione artistica, alla interpretazione, alla fortuna Btorica, ai « linguaggi » figurativi diversi presso i varii popoli, ai problemi di 1 valore», e così via. Ricchissimo il repertorio degli argomenti, vivissimo l'interesse della trattazione. Tra l'altro vi si discorre a lungo di quei concetti, o accorgimenti, o finzioni concettuali, come egli le chiamerebbe, di cui sopra. Perchè a dire il vero, alla deduzione rigorosa di concetti nel senso filosofico la sua mente non è portata. E' lui per primo a rendersene conto, e ad avvertircene, con vivissima grazia, alo non sono un dialettico: non ho il do no di sviluppare una tesi con copia di parole... quel che ho fatto è stato di metter giù tutto quel che mi veniva in testa mentre meditavo sulla teoria e la storia dell'arte. Sono pagine tutt'altro che sistematiche e scientifiche: ... una macedonia di penale ri sporadici, di saltuarie riflessioni a voce alta...». Vano dunque cercare qui lo sviluppo di un pensiero sisrslrpdsltpvdiabetrgcdsc«qdmvluuaindtlztnf«lrovmrl o e sistematico (dove si troverà invece dovizia grande di spunti, di osservazioni, di ricapitolazioni veloci tanto, su questo o quell'aspetto della storia dell'arte, da togliere il fiato). E valga l'esempio: circa quella faccenda della c decorazione » e t illustrazione», a prescindere dalla poca opportunità di una terminologia addirittura opposta all'uso corrente — dove a decorativo» è sinonimo di tnon-espressivo», mentre in linguaggio berensoniano a decorativi » sono gli attribuì specifici della tensione espressiva, quali i «evalori tattili» e il «movimento» — riesce davvero difficile saggiare a fondo un pensiero, in cui a un dato momento la distinzione « decorazione-illustrazione» viene identificata con quella tradizionale di «forma-contenuto» e come questa definita un artificio di comodo: mentre in altro momento si afferma che valori « decorativi » sono i soli veramente artistici; e in un altro ancora, si sviluppa un lungo capitolo, dedicato alla «illustrazione come arte indipendente », « autonoma non meno della musica o della architettura, e altrettanto infinita». E tuttavia, le incertezze delle sue defini zioni fisio-psichiche niente tolgono al valore delle originali osservazioni circa gli effetti dell'opera d'arte quale «intensificatrice di vita» che lo hanno indotto a escogitare la sua terminologia. Sono osservazioni colte sul più vi vo, sul più concreto del nostro modo di reagire e di aderire, e vanno meditate. Sbaglierebbe di assai, comunque, chi ritenesse il Berenson unicamente impegnato in questa sfera, del geniale • «conoscitore». In realtà, questo empirico è un idealista di tal fatta, da disgra darne i più accesi hegeliani: a prova, quella storia ideale dell'arte, di cui accenna un profilo. Una storia senza nomi, in cui le figure creative siano ridotte a un segno, che stia per quella «entità» quella essenza stilistica, quel a gradino» che rappresentano. E d'altra parte tanto imperioso è il suo senso dei «valori» in senso fetido, la sua esigenza di un'arte «intensificatrice di vita» non più in senso fisiologico ma nella più alta accezione umanistica, da fargli vagheggiare uno sviluppo in cui moltissimo delle storie particolari verrebbe tagliato fuori, un « filone centrale » per cui «nell'Europa stessa la storia dell'arte dovrebbe evitare quanto non ha contribuito alla corrente principale, si tratti anche di cosa interessante e in sè magnifica. Dovrebbe escludere ad esempio la maggior parte dell'arte tedesca e perfino* della spagnola e dell'olandese...». In questo, egli va a rovescio delle tendenze attuali della critica d'arte, che viene scoprendo l'unità artistica del mondo, colmando i cosi-detti «vuoti» dei «secoli bui»: ma gli è che per Berenson la più alta facoltà e misura dell'arte è di contribuire con i suoi mezzi alla «umanizzazione» dell'uomo e della società, alla elaborazione di quella «Casa di Vita» espressione del più alto livello civile: e nella grande ar-. te mediterranea, greco-rinascimentale, egli ne scopre e ne adora il «filone centrale». Alberto Rossi

Persone citate: Berenson, Bernard Berenson, Degas, Mario Praz, Paul Valéry

Luoghi citati: Europa, Firenze