Impressione tra i partiti per il discorso dell'on. De Gasperi

Impressione tra i partiti per il discorso dell'on. De Gasperi Impressione tra i partiti per il discorso dell'on. De Gasperi Il problema del rimpasto e l'atteggiamento dei socialisti - la d. c. elegge oggi il nuovo segretario ¬ Roma, 10 gennaio. E' rimasta nell'aria una certa impressione per il discorso che De Gasperi ha pronunciato alla chiusura dell'assemblea organizzativa della D. C. In esso infatti il Presidente del Consiglio ha fissato i termini della cosiddetta questione del rimpasto ed ha annunciato per di più le condizioni dèlia convivenza fra i diversi partiti nel Ministero. « La nostra strada » Per quanto riguarda la prima questione, nulla ha detto che non fosse previsto, che anzi già non fosse largamente noto, essendo stato in questi giorni scritto e riscritto sui quotidiani: la D. C. non vede alcun motivo per prendere l'iniziativa di un rimpasto. I rimpasti si fanno quando si pre< sentano uomini nuovi e forze nuove sulla scena politica. Non questo essendo il caso per il momento, De Gasperi non si propone alcuna modifica al suo Ministero. Spetta agli altri, eventualmente ai partiti che in atto sono collaboratori della D C. nel governo, di prender decisioni o di avanzare altre richieste. De Gasperi non lo ha detto, ma intendeva con ciò alludere ai socialisti, che dovranno pronunciarsi a conclusione del loro congresso. Fino al termine del congresso, cioè alla fine di gennaio, non si avranno pertanto novità. Ma De Gasperi, con frasi un po' involute, ha tenuto ad esprimere un concetto che ha provocato una certa impressione. Egli non crede, in altri termini, alla possibilità di accogliere nuove richieste dei socialisti. I modi della collaborazione sono stati concordati su una determinata formula che la D. C. non intende cambiare; i socialisti ne erano soddisfatti prima, dovrebbero continuare ad esserne anche v o adesso. Se non lo fossero, potrebbero anche lasciare il governo: « Noi continueremo a percorrere da soli la nostra strada, a fare da soli il nostro dovere ». L'assemblea democratica cristiana ha applaudito al sentire questa nétta affermazione e per tutt'oggi a Montecitorio non si cessava di commentare la dichiarazione del Presidente del Consìglio. Generalmente si osservava, che mai egli era stato così esplicito essendosi atteggiato piuttosto come capo di una larga corrente dell'opinione pubblica — la corrente che si è espressa al modo noto il 18 aprile — che come capo di un Partito. Mai, come capo del Partito più forte rappresentato in Parlamento, aveva detto ai suoi fiancheggiatori quello che egli ha ora espresso: o prendere o lasciare. Perciò, temono alcuni, e ne vanno parlando con accenti di apprensione, che si stia per scivolare verso un Governo di colore. Giustificano il timore con riferimenti a talune recentissime o remote manifestazioni degli esponenti della D. C, affacciano l'ipotesi di una involuzione verso le forme di un regime di Partito: si cita infatti il discorso di Taviani, nel punto che additava la necessità di far penetrare nelle istituzioni e nel metodi dello Stato l'idea democristiana; si cita il discorso fatto da Sceiba all'indomani delle elezioni, allorchè disse che l'opinione pubblica si doveva assuefare all'idea di vedere democristiani, democristiani e poi ancora democristiani alla testa di amministrazioni ed istituti. Allarmarsi per questo, per l'ima o l'altra manifestazione? Noi riteniamo che sarebbe un errore. Il fatto stesso che le dichiarazioni più allarmanti sono state pronunciate tutte ed esclusivamente in sede di assemblee di militanti del Par¬ tito, indica già quale ne sia il valore: quel valore relativo, strettamente attinente ad una funzione interna, che hanno sempre le dichiarazioni fatte dai dirigenti di un Partito al militanti della base. Non è un caso particolare della D. C. Chi si rifaccia con la memoria alle cronache dei congressi di tutti i Partiti politici, dal comunista al liberale, potrà redigere tutto un elenco di affermazioni simili, più o meno perentorie, più o meno demagogiche, tutte ispirate a quello che si chiama, con singolare definizione, il « patriottismo di Partito ». Dopodiché gli stessi dirigenti che si sono impegnati così a fondo, usciti dall'aula congressuale, passano a trattare con i dirigenti dei Partiti diversi dal loro. Taviani o Gap,,a? Grave sarebbe se queste frasi fossero dette in pubblici comizi (e si ricorda invece quante volte disse De Gasperi: « Io non vi chiedo di votare per il mio partito. Vi chiedo di votare per la libertà! »), o addirittura in Parlamento; ma questa cosa non si è mai data. Non ci si allarmi quindi fuori di misura, si mettano le frasi baldanzose sul conto delle necessità di partito e ci si attendano fin d'ora dichiarazioni ancora più vibrate, richieste più perentorie e declamazioni più enfatiche dal prossimo congresso del partito socialista Dopodiché sarà possibile ricominciare a parlare eventualmente di rimpasto. Per ora l'attenzione è riservata all'elezione del nuovo segretario della D. C. che è attesa per domani. Questa sera inutilmente hanno parlalo a lungo e con affetto caloroso numerosi oratori — da De Gasperi a Togni, a Dossetti, a Cappi, a Pastore, a Priore — per convincere Piccioni a ritirare le dimissioni. Ma Piccioni ha insistito, ringraziando commosso: « Ma se cedessi, ha detto, a tanta rinnovata prova di fiducia, sentirei il dovere di adempiere al mìo compito con tale sforzo che le mie condizioni di salute non ne guadagnerebbero e il partito ne scapiterebbe ». Perciò il Consiglio nazionale è stato costretto, con vivissimo dolore, a prendere atto delle dimissioni ed ha messo all'ordine del giorno per le 10 di domani l'elezione del successore. I pronostici sono questa sera divisi quasi in ugual misura per Taviani e per Cappi. E' forse leggermente favorito il primo e più giovane dei due, ma coloro che sostengono il secondo fanno valere un'osservazione che non manca di peso. Di qui al congresso mancano tre mesi, e in questo modo Taviani non potrà dar prova delle sue capacità. Perciò il congresso potrebbe anche non confermarlo, e questo potrebbe significare un grave pregiudizio per Taviani, che in ta! modo si sarebbe « bruciato» dopo un esperimento di tre mesi. Se invece fosse Cappi, non Si potrà dire di lui, nel caso di mancata riconferma, che si sarà bruciato: e questo perchè è Cappi uomo politico che ha già al suo attivo una lunga carriera, che non può più venir compromessa da un breve esperimento interinale. Ma ad un giovane, ad un Taviani, si può senza suo rischio chiedere una prova tanto impegnativa in condizioni così ingrate? Domattina i componenti del Consiglio nazionale, fatto l'esame di coscienza, risolveranno il quesito.

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