La società manipolata di Gianni Vattimo

La società manipolata RIFLESSIONI SUL MONDO TARDO-CAPITALISTICO La società manipolata «Simulacro» è probabilmente un termine con cui dovremo fare i conti a lungo nella riflessione critica sulla società tardo-capitalistica, che alcuni ormai chiamano decisamente post-moderna. Anche questo' termine, come altri, venuti di moda di recente, ci viene dalla Francia, usato dapprima dagli studiosi di Nietzsche, e poi, ul-. timamente, da sociologi radicali come Jean Baudrillard, di cui esce ora in italiano Simulacri e impostura, affiancato dal libro di un filosofo italiano che per molti aspetti a- lui si ricollega (Mario Perniola, La società dei simulacri; entrambi i libri sono editi da Cappelli). A prima vista, non si capisce perché, per indicare l'insieme dei fenomeni a cui il termine «simulacro» allude, non si possa usare il più collaudato, e consumato, concetto di «ideologia». Ma proprio se lo si confronta con la nozione di ideo-' logia il simulacro rivela la sua, - novità. In un altro libro più vecchio, ma pubblicato anch'esso da poco in italiano (Lo specchio della produzione, ed. Multhipla), Baudrillard, discutendo la critica dell'economia politica di Marx, fornisce le basi più chiare per capire la distinzione. ** Secondo Marx, com'è noto, all'economia attuale si arriva attraverso tre fasi: dapprima, singoli e gruppi scambiano solo i non molti prodotti che eccedono i loro bisogni di consumo immediato; in questo momento, la produzione è fatta per soddisfare i bisogni, e solo marginalmente per creare merci da scambiare. In un secondo momento, che corrisponde alla nascita e allo sviluppo del capitalismo, si produce anzitutto per vendere: il valore d'uso, cioè l'utilità immediata che un prodotto ha per chi lo adopera, cede il posto al valore di scambio (l'utilità che il produttore ^ ricava non dall'usare per sé il prodotto, ma dal venderlo). In una terza fase, infine, si ha secondo Marx l'estrema generalizzazione del valore di scambio: tutte le còse diventano merci, anche ciò che sembrava irriducibile alla logica dello scambio vi si sottomette. Marx chiama questa fase la prostituzione generalizzata; noi possiamo pensare, per capirla, al nostro mondo in cui le' idee su bene e male, su vero e falso, sono sempre più assoggettate all'informazione manipolata della pubblicità e dei mass-media, che sono dominati dalla logica del profitto. Il concetto di ideologia, nel marxismo, è strettamente legato a questo schema. Dire infatti che una teoria, una fede, un sistema di valori sono ideologie significa dire che sono forme di falsa coscienza, errori e menzogne legate al fatto che chi le professa vive in una situazione oggettivamente falsa; e cioè non guarda le cose come valori d'uso ma come valori di scambio. Il capitalismo, che trasforma ogni cosa in merce, ha qualcosa di profondamente innaturale e perciò falso; da questa 'falsità derivano anche tutte le falsità e le distorsioni dell'ideologia, strettamente legate, del resto, all'ingiustizia e allo sfruttamento che caratterizzano la società capitalistica nella prospettiva marxiana. La-nozione di ideologia di- pende così dall'idea che vi possa essere Una visione non ideologica, cioè non falsa, del mondo; e una tale visione è quella possibile all'uomo libero dal dominio del valore di scambio, che ha con le cose un rapporto, che si potrebbe definire «casto», nel quale esse sono per lui mezzi di sussistenza ma non oggetto di commercio in vista del profitto. Ora, secondo Baudrillard proprio l'esplodere della terza fase,dell'economia capitalistica, quella in cui noi viviamo, dominata dalla pubblicità e dalla manipolazione dei bisogni, mostra l'insostenibilità di questo schema di pensiero. Se è vero che tutd i bisogni e i desideri sono manipolati dalla pubblicità, ha senso cercare di andare al di là di queste manipolazioni e falsificazioni, in cerca di quelli che sarebbero i bisogni veri? La debolezza della teoria dell'ideologia sembra essere tutta qui, nella pretesa di raggiungere, al di là delle falsificazioni, qualche verità fondamentale. Una tale verità appare sempre più irraggiungibile e: mitica, incapace dunque di' fondare uh vero discorso critico. E' un po' come se uno decidesse di passare le vacanze in un ambiente di natura intatta, non guastata dalla civiltà: scoprirebbe che la natura intatta si può certo trovare ancora, ma costa molto di più che le nostre riviere di plastica; è cioè anch'essa diventata una merce, un prodotto, molto più raro e quindi più costoso, ma totalmente assoggettato ai meccanismi del mercato, e niente affatto «naturale». Chi, come Baudrillard, sostituisce il concetto di simulacro a quello di ideologia intende anzitutto proporre un superamento di queste contraddizioni. Non ha senso cercare di criticare l'ideologia, e la società capitalistica che la produce,, sforzandosi di risalire a una verità al di là di essa. Bisogna accettare il fatto che, oggi, tutto è prodotto di manipolazione, cioè simulacro e apparenza, e cercare di usare questa situazione come una possibilità di libertà. Ih che senso, però, riconoscere che tutto è simulacro può rappresentare una possibilità di liberazione? Qui il discorso si fa più complesso. Sembra però che, almeno, il simulacro ci metta al sicuro dal rischio che qualcuno (il partito, la chiesa, l'analista...) pretenda di avere scoperto il vero che c'è. dietro l'ideologia, e che in suo nome si arroghi il diritto di esercitare un potere, stabilire gerarchie, imporre obblighi ascetici e limiti alla libertà. Chi parla di ideologia e di critica dell'ideologia lascia aperta la via a questo rischio (l'esperienza del socialismo reale lo testimonia); chi parla di simulacro, invece, dovrebbe essere vaccinato contro tutto ciò. V* Ma a parte questa funzione negativa, che altre conseguenze comporta l'accettare la teo-1 ria del simulacro? Non si tratta tanto, psicologicamente, di insegnare che, se tutto è apparenza, la vita deve essere vissuta senza enfasi, senza fanatismi, senza tutto il pathos tragico che ha costantemente ac-, compagnato le nevrosi individuali e collettive di cui è piena la tradizione della nostra cultura. Ciò che importa, piuttosto, è l'accento che con il termine simulacro. Si pone su tutti gli aspetti di elasticità e di apertura della società tardo-capitalistica, nella quale il complicarsi e il sovrapporsi dei sistemi di controllo comporta anche la possibilità che il controllo stesso, invece di intensificarsi, si allenti e che — abbondanza di risorse e di sviluppo tecnologico permettendo — tutta la vita sociale risulti più mobile e leggera, e assuma sempre più i caratteri plastici del gioco. Questa utopia di una società «ludica» non è però, giustamente, l'esito del discorso di Baudrillard né di quello di Perniola. Il primo sembra piuttosto vedere nel simulacro e nel gioco solo delle tappe, intermedie verso la ricostruzione di una forma di esistenza più autentica, che finirebbe per riawicinarè il mondo tardomoderno alle società primitive, dove il cerimoniale e il rituale sociale, cioè forme di attività che non hanno scopi produttivi e che quindi appaiono come gioco, prevalgono di gran lunga sull'organizzazione razionale della produzione in vista del profitto. Perniola ipotizza invece una sorta di esito religioso della cultura del simulacro, in una direzione che si richiama alla spiritualità gesuitica seicentesca: chi ha accettato che tutto è apparenza, infatti, si. trova un po' nella condizione di colui che ha rinunciato religiosamente al mondò e che, proprio per questo (è la storia dei successi della Compagnia di Gesù), può dedicarsi alle attività mondane con una attenzione e una lucidità sconosciute a quanti invece nutrano ancora interessi, passioni, credenze nei valori. Quale che Sia l'esito di que¬ ste teorie del simulacro, esse hanno il merito di proporre con estrema coerenza e chiarezza un'ipotesi con cui, crediamo, ogni critica della società deve oggi misurarsi: l'ipotesi che lo sviluppo dell'organizza-' zione tecnologica del mondo moderno abbia portato — invece che (o oltre e più profondamente che) all'universale appiattimento dell'umano nella cultura massificata e all'intensificazione del dominio — a una specie di indebolimento della nozione stessa di realtà, trasformando la società in una «società dello spettacolo» (come l'hanno chiamata i situazionisti), nella quale si delinea forse una inedita possibilità di. emancipazione che è ' nostro compito scoprire. Gianni Vattimo

Luoghi citati: Francia