I fantasiosi cavalli di Böcklin di Angelo Dragone

I fantasiosi cavalli di Böcklin I fantasiosi cavalli di Böcklin Esasperato romanticismo tedesco e chiarezza mediterranea/nelle opere dell'enigmatico pittore che scelse la Toscana come sua patria ideale -1 rapporti coìTBe-QiirJ<xr- Esposti 30 «pezzi», tra dipinti, disegni e sculture DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE FIESOLE — Nella palazzina Mangani, di recente ristrutturata dall'amministrazione civica di Fiesole, è stata inaugurata la mostra «Arnold Bocklin e la cultura artistica in Toscana»; che nel suo stesso tema.ricorda .subito come la meravigliosa collina fiesolana, non paga di esser il luogo privilegiato di dimora dei fiorentini più illustri, sia stata abitata anche da tanti spiriti appassionati che dall'estero scendevano in Italia per prendere contatto con l'incomparabile patrimonio culturale fiorentino e toscano. Tra questi, appunto, Bocklin che, nato a Basilea nei 1827, tedesco di formazione, nella sottostante frazione di San-Domenico visse, come attesta la lapide che a Villa Bellagio si legge tra l'edera, «gli ultimi anni di sua tarda vecchiezza, consolato da alte idealità», morendovi nel 1901, quando forse non poteva ancora esser chiaro il ruolo ch'egli aveva avuto tra i protagonisti del simbolismo europeo. Ignorato nel 1895 dall'esordiente biennale veneziana, su istanza d'un noto studioso e scrittore d'arte di allora, Francesco Novati, che l'anno seguente (ottobre 1896) gli aveva dedicato un ampio saggio nella rivista «Emporium», non nìancò d'essere ampiamente accolto a Venezia nella seconda edizione della Rassegna internazionale che lo presentò come «filosofò non meno che artista inspirato. Glorioso maestro dell'arte moderna, l'unico, forse che s'avvicini agli antichi, tanto per la vigo\ria della tecnica quanto per l'altezza della concezione». Ma si sa come' l'arte sia da sempre veramente la cosa più semplice ed insieme la più difficile da intendersi: bastò il passare d'un trentennio e, nel divèrso clima culturale che aveva posto nell'impressionismo-francese il suo punto di riferimento, ecco Lionello Venturi portato a vedere in lui «ira quanto campione del gusto germanico»...il ■ pittore che aveva «interpretato col più stnidollatq romanticismo un classicismo di maniera». Ed era anche questo un modo di intendere, o di fraintendere, la pittura di Bocklin, il cui nome richiamava intanto subito, anche tra il pubblico più vasto, ;l'lmmagine della silente sua «isola dei morti» (1880): opera di un visionario che con una pittura cosi diversa, ad esempio, da quella del simbolismo francese che in quegli stessi anni, con Moreau, andava morbosamente scorporando le sue figurazioni nell'ambiente, aveva interpretato con personale, tedesca saldézza, quel significativo momento dell'arte fantastica mittel-europea nel quale potè radicarsi un De Chirico che di li sarebbe partito alla scoperta della sua metafisica finzione pittorico-letteraria. '"' Anche da Bocklin non potè quindi mancar di muovere, nel 1967, la mostra torinese dechlrlchianamente intitolata «Le muse inquietanti», che di quel più segreto versante della cultura figurativa moderna aveva inteso esplorare i molteplici aspetti, mettendone in evidenza le vive suggestioni. Il fatto è che ci si sente subito presi da questo «mondo» bockliniano che sa sempre di magia, di miti agresti e non; un mondo che quasi sotto la propiziatrice presenza del divino Pan; sembra essersi popolato di sirene e di battaglieri centauri, di tritoni, naiadi, ninfe e satiri dei quali si direbbe portato a risolvere emblematicamente ogni conflittualità, lasciando a taluni enigmatici personaggi (come quelli di Odisseo e Calipso^ il compito di esprimere tra una «testa di medusa» e una «processione bacchica», le incertezze e le contraddizioni che affiorano dall'inconscio. Sono immagini, quelle di Bocklin, dominate da un senso di spaesamento che s'avverte nelle-figure come nei paesaggi: tra cieli e mari irreali, in un susseguirsi di «contaminationi» tra letteratura e pittura. In campo figurativo, poi, l'artista rivela quanto abbia attinto dal tonalismo di un Corot come all'algido romanticismo nordico d'un Friederich o dalle fantasie notturne care allo sturmundjdrang tedesco, ma anche alla calda luce del paesaggio italiano. Di questo sentì il fascino fin dal suo primo soggiorno romano nel 1850 (cui segui, nel 1853, il matrimonio con Angela Pascucci) e< più tardi a Napoli (nel 1862, e ver¬ so l'80) e a Firenze (per un decennio dal 1874, poi dal '93). L'Italia significò tuttavia per Bocklin, anche, e soprattutto, la scoperta del mondo antico, della mitologia clàssica divenuta per lui fonte inesauribile di stimolanti ispirazioni, cui s'aggiunse — ed è significativo — una quasi assillante ricerca sulle tecniche pittoriche degli antichi che cercò di emulare. Si cimentò infatti con i colori ad olio e la tempera, ed usò pigmenti trattati con resine, a vernice e a cera come negli encausti; talora con esiti disastrosi, ma a volte con una perizia di cui Paolo Cadorin; direttore del gabinetto di restauro del Kunstmuseum di Basilea, potè sottolineare insieme l'essenziale efficacia. Basta tuttavia osservare una delle cosi fantasticate sue deserte isole notturne, coronate da rovine e da folte chiome d'alberi agitate dai possenti venti marini su cieli plumbei rotti dai' saettanti bagliori dei fulmini, per intuire come più ancora di un sentimentalismo romantico, esse si facciano interpreti della caducità d'ogni cosa umana e terrestre, e quasi d'un calvinistico «memento mori». C'è dunque molto da vedere e da approfondire in queste immagini che danno risalto alla rassegna fiesolana: non certo paragonabile con la vasta esposizione dedicata al Bocklin due anni fa dalla sua città natale, ma con un suo specifico interesse nella riscoperta dei valori culturali propri del territorio fiesolano. Questo, d'altra parte, è stato l'intento dei promotori della mostra e di Cristina Nuzzo .che l'ha ideata curandone con Annelie De Palma anche il catalogo, ricco di testi critici e storiografici di studiosi italiani e stranieri, dà H. Holenweg a Maurizio Fagiolo, da R. Monti e M. Montanari a J. Burmeister. L'esposizione (che rimarrà aperta sino atutto settembre) ha il suo nucleo centrale nella trentina di pezzi, tra dipinti, disegni e sculture che con qualche sussidio visivo documentano le diverse fasi dell'attività di Bocklin, dai giovanili paesaggi svizzeri a quelli arcadici del periodo romano, e alle più mature composizioni di spirito simbolistico. Ma accanto ad essi, un altro centinaio di oi>ere riescono a delineare in maniera esemplare i rapporti dell'artista con quegli esponenti della cultura tedesca che contribuivano ad animare l'ambiente fiorentino e fiesolano dell'epoca. Si tratta di presenze spesso tra loro interàgenti,°se si pensa al neoellenismo d'un Hildebrand che può collocarsi, in senso opposto al polo bockliniano, in quel circolo artistico-culturale che s'era formato intorno a K. Fiedler, il teorico della «pura visibilità, e di cui fecero parte il Von-Marees e lo StaUffer-Berri che con Max Klinger è Albert Welti sono gli altri protagonisti del vivace quadro culturale rievocato con l'aggiunta di qualche nome italiano: di artisti toscani, o attivi in Toscana, che con questo «momento» della cultura tedesca mostrano un loro legame: non soltanto De Chirico, quindi, ma anche Oscar Ghiglia e il Nomellini, sino al De Carolis e alCostetti. >. - , Angelo Dragone